30 December 2006

Una frase 2

"Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra, ma questa è una verità che non molti conoscono."

Primo Levi da "La chiave a stella"
(segnalata da Massimo Demma)

18 December 2006

Una frase

"Se fai qualcosa che ami, non ti accorgi mai delle ore che ci vogliono per farlo molto bene, e ne vale la pena."

Flip Nicklin, fotografo professionista specializzato in cetacei

Working with artisanal fishermen to protect the Amvrakikos Gulf


I first joined the Tethys team in 1999. In 2004 Giovanni Bearzi, President of Tethys, suggested that I moved to a village on the coast of the Amvrakikos Gulf and I settled there to start a year-round study of local dolphins. My decision to move from my home town Barcelona, Spain, to the village of Vonitsa, Greece, was a difficult one. However, I soon realized that this could open the door to significant developments, which were unlikely to occur as long as we operated in Greece as “visitors”. Soon after I settled there, a friendly relationships developed with the local community, especially with artisanal fishermen.

Since the beginning, local fishermen were curious about the presence of biologists from abroad and started inquiring about our work. When we told them about our interest in dolphins, comments were ironic and sometimes slightly aggressive. Some fishermen claimed that dolphins had to be all killed because of their habits of damaging and depredating fishing gear. However, in the end even those attitudes evolved towards a genuine appreciation of our work. Fishermen started to ask questions about the methods we use, our past experiences in this field, our findings and, at a more personal level, they wanted to know the reasons and motivations that led me to choose this profession and way of life.

Establishing a good personal relationship with them and being introduced to the problems they face offered insight that would be difficult to obtain otherwise. While sitting at seaside bars drinking our “café frappé” (ice coffee, a favourite refreshing beverage in Greece), they told me about ever-decreasing landings caused by human impact, illegal fishing taking place in the area, and the actual hardships of dolphin-fisheries interactions.

Their interest in collaborating became even clearer when fishermen started to report dolphin sighting or stranding events. Fishermen who had found a dead animal offered the possibility of taking us there with their boat. They even waited patiently under heavy rain while we were measuring the animal and taking photos.

An understanding of the factors threatening the Amvrakikos Gulf is somewhat complicated as a variety of problems - including chemical pollution, eutrophication and illegal fishing - are contributing to ecosystem damage. Still, local fishermen have come to a good understanding just out of their own experience, without knowing about the conclusions of many scientific articles focusing on this area. Many fishermen, for instance, do not think twice when asked about the problems of the Gulf. And - surprise - the main problems do not include dolphins.

Fishermen maintain that the progressive reduction of the narrow channel that links the Gulf to the open sea (resulting from a project to enlarge the port of Preveza) has had a major impact on water balance and the ecosystem. Water exchange was reduced and this contributed to increasing eutrophication. Changes in freshwater input from rivers due to hydroelectric and other dams also added to the problem. Another serious problem reported by local fishermen is that of illegal trawling (a fishing method that is forbidden in the Gulf since 1975) - reportedly one of the main factors behind the steady decline of fish captures.

The local fishing community also shows signs of the phenomenon known as “shifting baselines”, described by fishery scientist Daniel Pauly in 1995. As one generation replaces another, people's perceptions of what is natural change to the extent that they no longer believe historical anecdotes of past abundance or size of species. The environment changes dramatically, but due to loss of information and memories across generations most people do not realize the extent of change. Therefore, recording fishermen’s present and past experiences represents an important opportunity to document the history of the Gulf’s ecosystem.

For instance, young fishermen admit that a few years ago their catches of sardines, red mullets and shrimps were much larger. Old fishermen tell an even more interesting story. Barba Yannis, who is 74 (the prefix “barba” is used in Greece to express respect for the elder), and Barba Mihalis, 75, have been fishing in the Amvrakikos Gulf for more than 50 years. Both of them recall a time when large tuna were frequent in the Gulf, and tell stories of amazing biodiversity and plentiful catches. Younger fishermen, on the contrary, have never seen a single tuna in the Gulf.

At dusk, while walking along the sea side of Vonitsa with the dolphins seen just a few hours earlier still on my mind, I watch the silhouette of Barba Yannis setting his nets while hand-rowing his kaїki in the magnificent sunset. Not so long ago, this was a common sight in the Mediterranean. Today, artisanal fishermen are yet another “species” struggling to survive in an ecosystem that has been depleted by commercial and illegal fishing. I again realize that Barba Yannis, Barba Mihalis and their sustainable fishing means deserve to be protected as much as the dolphins.

Joan Gonzalvo Villegas

17 December 2006

Informazione e biodiversità

La notizia dell'estinzione del lipote, il delfino di fiume cinese, si è finalmente guadagnata gli onori della cronaca nazionale.

Alle 21:00 il TG2 ne parla come ultimo argomento dell'ultimo servizio in scaletta. Il servizio passa prima in rassegna, con tono divertito, una serie di avvenimenti da Guinnes dei primati.

Un uomo tiene in equilibro sul mento per 14 secondi una pertica di 16 metri (battuta di spirito). La pesca di uno sventurato e enorme pesce luna (battuta di spirito). L'invenzione, non si capisce a che scopo, di una "carpa" meccanica (battuta di spirito). Infine, una decina di secondi dedicati alla scomparsa del lipote.

La notizia è trattata con tono da gossip, come tutte le altre, ma il saggio giornalista conclude dichiarando che per questa notizia non gli vengono in mente battute di spirito. Ma ecco la sigla di chiusura e subito si passa a un bel telefilm sugli agenti speciali della Marina americana.

Giovanni Bearzi

15 December 2006

Bao, il suo lungo braccio, e due delfini cinesi


Cina, 13 dicembre 2006 -- Nello stesso giorno e nello stesso paese, per mano dell'uomo, il delfino di fiume, il lipote o baiji (Lipotes vexillifer) viene dichiarato “funzionalmente” estinto dal pianeta, e per mano di un uomo due delfini si salvano.

Due tursiopi dell'acquario di Fushun, nel nord-est della Cina, sono stati salvati dal signor Bao Xishun. Nulla da stupirsi se Bao fosse un veterinario, uno scienziato o un esperto di cetacei, ma questo signore di 54 anni è un semplice pastore che abita in Mongolia.

I delfini avevano ingoiato dei pezzi di plastica e non riusciendo più a mangiare si trovavano in una situazione critica. A nulla sono valsi gli interventi dei veterinari: tutti i metodi e gli strumenti usati per rimuovere la plastica dallo stomaco degli animali sono risultati inutili. I delfini, contraendo l’esofago, non consentivano l'estrazione dei corpi estranei. Ma ecco la geniale idea...

Il signor Bau, altrimenti conosciuto come l'uomo più alto del mondo (2.36 metri) avrebbe potuto essere di grande aiuto. E così è stato.

Il timido e sorridente omone ha lasciato la Mongolia per andare a salvare due animali di cui, molto probabilmente, non sospettava neanche l'esistenza. Sotto gli attenti sguardi dei tanti fotografi ha infilato il suo braccio lungo un metro nella bocca dei due animali, piano piano, fin giù nello stomaco. Con molta delicatezza e serietà è riuscito così a estrarre la maggior parte della plastica che minacciava la sopravvivenza dei delfini.

Grazie a Bau, i delfini sono ora in grado di digerire e, a detta del manager dell'acquario Chen Lujun, si trovano in buone condizioni fisiche e si riprenderanno presto dalla brutta esperienza.

Ecco quindi una storia a lieto fine (cattività a parte) che ci fa dimenticare per un attimo - ma solo per un attimo - la pesante responsabilità dell'estinzione per causa nostra del primo cetaceo nella storia dell'uomo.

Non siamo stati capaci di salvare il lipote. Erano stati presentati molti progetti mirati alla tutela degli ultimi esemplari di questa specie, ma per un motivo o per un altro nulla di risolutivo è stato fatto. Siamo arrivati troppo tardi.

Il signor Bau e l'ideatore di questa strana soluzione sono arrivati in tempo e hanno salvato due vite. Hanno agito in modo repentino e con creatività. Sarà forse questa la morale della storia?

Silvia Bonizzoni

Lipote addio



E' giunta notizia della probabile estinzione del baiji.
http://www.baiji.org/
http://www3.whdh.com:80/news/articles/world/BO36883/
http://www.wdcs.org/dan/publishing.nsf/allweb/14139AA1715D7109802572440032EE75

Una spedizione appena conclusa, cui hanno partecipato tra gli altri Randy Reeves, Brent Stewart, Bob Pitman ecc., alla ricerca del baiji (Lipotes vexillifer, in italiano "lipote") non ha trovato traccia di questi animali - notoriamente la specie di cetacei più minacciata, per la quale da tempo la comunità internazionale lancia accorati gridi di allarme.

Ebbene ci troviamo di fronte alla probabile, diremmo quasi certa estinzione della prima specie di cetaceo a cui qualsiasi essere umano oggi vivente, così come ogni suo progenitore per numerose generazioni, abbia potuto assistere. Forse un anno, un mese o anche un giorno fa l'ultimo baiji del pianeta si è adagiato senza vita sul fondo buio del grande fiume, senza che nessuno se ne accorgesse, senza nemmeno una piccola preghiera di commiato.

Si tratta di un segnale terribile per l'umanità intera. Distruggere un capolavoro creato in milioni di anni di evoluzione. Lascia storditi l'irreversibilità, il senso di sconfitta e di perdita. Cosa conta se l'avevamo visto nuotare o no, se viveva in Cina o in Madagascar? Il baiji era la speranza che non muore, il segno che tutto sommato ci fosse ancora un carta da giocare per rimediare al danno arrecato. Ora non più: il danno è stato fatto. E forse a questo punto poco conta se ne restano un paio di individui da qualche parte nel fiume, in attesa di una morte solitaria.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara e Giovanni Bearzi

14 December 2006

Non un delfino... quel delfino


Trovarsi in mare in compagnia di un gruppo di delfini è sicuramente un'emozione esaltante, ma ancora più bello è poterli percepire come singoli individui e non come informe combriccola.

All'inizio di un avvistamento in mare siamo sempre un po' agitati e confusi. Presi dalla strumentazione e concentrati sui dati da raccogliere, guardiamo questi animali con l'unico obiettivo di non perderli di vista. A volte si stenta a capire quanti delfini ci sono, dove sono, ma poi lo smarrimento passa e ci si concentra totalmente su di loro.

L'insieme sfocato di tanti delfini si fa più nitido, l'occhio inizia a soffermarsi su piccole differenze nella forma della pinna o su cicatrici e altri segni sul corpo di questi animali... ed è a quel punto che scatta la magia. Non sono più anonimi delfini: ogni pinna dorsale ci ricorda un nome, a volte persino una storia o una spiccata personalità.

Il gruppo è compatto e emerge in sincronia per respirare. A ciascuna emersione l'occhio accarezza i profili delle pinne e la mente elabora automaticamente le informazioni: ecco Dustin, quello è Indio, laggiù Lara con il suo piccolo, e c'è anche il cucciolo di Atena. Il fotografo cerca di catturare immagini utili per l’identificazione e grazie a queste foto, una volta rientrati alla base, la magia può continuare.

Dal gommone siamo catapultati in un ufficio, seduti davanti al computer per analizzare le molte migliaia di foto che ogni anno vengono scattate in mare. Seleziona, scarta, elimina, taglia, ingrandisci, rinomina, confronta, controlla e classifica... quanto lavoro! Ma a fronte di tante ore trascorse a confrontare pinne, il quadro che ne emerge è sensazionale.

E' infatti incredibile come da semplici fotografie si possa ottenere una rappresentazione “intima” della popolazione che si sta studiando. Gobba e Atena sono al loro quarto piccolo, Gobba è anche diventata nonna, Spiti è sopravvissuto alla completa mutilazione della pinna dorsale, a Pub e a Lara piace cercar cibo vicino agli allevamenti ittici, Ari è la baby-sitter del gruppo, Ronco e Morgana ultimamente non si fanno vedere, Meganisi è ritornato dopo quattro anni di assenza.

Con anni di foto-identificazione e un po’ di esperienza si può stimare la taglia della popolazione, valutare eventuali aumenti o diminuzioni nel numero di animali, determinare il loro sesso, misurare il tasso e il successo riproduttivo. Si possono anche individuare le associazioni preferite, sapere chi sono i due “migliori amici” e chi è il delfino più solitario. Possiamo perfino utilizzare degli strumenti GIS per studiare la preferenza di determinate aree da parte di singoli individui, o osservare i loro spostamenti da un anno all’altro. Grazie a queste e altre informazioni, alla fine, si arriva a comprendere meglio l’ecologia degli animali e a capire quali problemi li affliggono.

Trascorrendo lunghe ore a confrontare pinne, è quasi inevitabile affezionarsi ai loro “proprietari”. Questi delfini che tanto ci sforziamo di studiare alla fine li sentiamo amici, ed ecco che il lavoro si arricchisce di una forte motivazione personale. Vorremmo dare un futuro ai nostri amici, a quegli animali che dopo anni riconosciamo al primo sguardo come facciamo tra noi umani. Il desiderio per le persone o gli animali a noi più vicini è di sapere che stanno bene, e alla fine questo vale anche per i nostri delfini. Come sarebbe bello se Zoi sopravvivesse alla rete che gli si è impigliata intorno al muso! Se Lady riuscisse a liberarsi dalla lenza che le ferisce le carni!

Quando si scopre che tutte le creature sono in effetti singoli individui con le loro storie e le loro sofferenze, e non indistinte pinne dorsali, le vediamo sotto una luce diversa.

Silvia Bonizzoni

12 December 2006

Kalamos dolce Kalamos


Non poteva trascorrere un’altra estate senza l’emozione di incontrare nuovamente i delfini del Mediterraneo. Destinazione ignota...

Poi l’allettante opportunità di realizzare la mia tesi (Master in Marine Mammal Science presso l’Università del Galles a Bangor) in collaborazione con l’Istituto Tethys, che mi ha permesso di raggiungere l’isola di Kalamos nello Ionio orientale e di vivere un’esperienza unica. Il paradiso terrestre che tanto avevo immaginato si è materializzato al mio arrivo in Grecia, dove una natura incontaminata e brulla contrastava con le cristalline acque del mare. A poca distanza dall’Italia un nuovo e intrigante mondo si presentava in tutto il suo splendore e le mie fantasie naturalistiche di biologa marina trovavano la loro realizzazione.

Questo viaggio mi ha proiettato in una dimensione in cui il tempo sembrava si fosse fermato e i volti delle persone che incontravo ne erano la testimonianza più vera. Profumi di spezie e bouganville in fiore, sole cocente, vociferare di comari e il dolce frangersi delle onde sulle multicromatiche spiagge deserte hanno caratterizzato il mio viaggio verso l’isola. Kalamos all’orizzonte si erge sull’acqua come un vulcano, circondata da tante piccole isole. Sebbene fossi giunta a destinazione, il mio viaggio da biologa era appena cominciato e quest’isola mi avrebbe riservato tantissime emozioni...

Una calorosa accoglienza e l’incontro con il team dello Ionian Dolphin Project hanno segnato l’inizio di un’avventura. Tuffarsi in una realtà in cui i legami con la quotidianità sono pochi e distaccarsi mentalmente dalla routine sono stati i miei segreti. Ma i protagonisti assoluti sono i cetacei e il loro habitat, di cui noi siamo spettatori privilegiati. La magia di Kalamos si percepisce quando ci accorgiamo che i veri ospiti siamo noi e non i delfini, e che il delicato equilibrio che governa questo ecosistema marino dipende dalla saggezza con cui l’uomo gestisce questo patrimonio naturalistico.

I volontari (così viene chiamato colui che partecipa ai campi di ricerca) diventano parte attiva del progetto e, affiancando esperti biologi, partecipano a tutte le attività mirate al monitoraggio e alla salvaguardia dei mammiferi marini. Le giornate scandite da uscite in gommone hanno permesso di raccogliere dati sulla distribuzione, sul comportamento e sull’uso dell’habitat da parte delle due specie di delfini che abitano queste acque, il tursiope e il delfino comune. Inoltre possono capitare incontri con tartarughe marine, la rara foca monaca e diverse specie di pesci. I volontari diventano parte integrante di un team che lavora per trarre quante più informazioni possibili dallo studio di animali in quotidiana lotta con il degrado del loro habitat.

L’emozione di vedere la superficie dell’acqua rotta dall’emersione di un delfino accompagnato da un cucciolo, oppure i salti di socializzazione tra i membri di un gruppo, riempiono il cuore di una nuova felicità e queste esperienze vengono integrate da nozioni, conoscenze e dal confronto con i ricercatori. L’essere informati sui problemi che affliggono i delfini e sulle varie strategie per tutelarli arricchisce l’incontro con gli animali di un modo più consapevole di percepire la realtà. L’avvistamento dei delfini, così come i momenti di approfondimento scientifico, sono resi speciali dall’armonia di un luogo magnifico. Non mancano emozionanti tramonti e visite a luoghi pieni di magia, come le grotte, le spiagge o i ruderi dell’isola. L’avventura di questa indimenticabile estate è ancora viva nella mia mente e le tante fotografie mi ricordano che l’esperienza appena descritta non è solo il frutto della mia immaginazione.

Annalise Petroselli

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Per partecipare:
http://www.tethys.org/tri_courses/courses_index_i.htm

10 December 2006

Collisioni fra balenottere e imbarcazioni in Mediterraneo


Le collisioni fra cetacei ed imbarcazioni non sono un problema recente, anche se solo nelle ultime decine di anni la comunità scientifica ha iniziato ad occuparsene in seguito al numero sempre maggiore di scontri fatali. Una pubblicazione scientifica preparata da Laist e colleghi nel 2001 ha evidenziato che collisioni con cetacei, sia odontoceti che misticeti, si sono verificate in tutti gli oceani del mondo. Secondo gli autori almeno undici specie di misticeti sono state oggetto di scontri con imbarcazioni, ma fra queste la balenottera comune (Balaenoptera physalus) risulta essere la specie più comunemente soggetta a collisioni. Questo problema è particolarmente attuale in Mediterraneo, dove la balenottera comune è l’unico misticeto regolarmente presente e il livello di traffico navale è molto elevato.

Ogni anno circa 220.000 imbarcazioni di oltre 100 tonnellate di stazza attraversano il bacino del Mediterraneo e un gran numero di traghetti, cargo, petroliere, navi militari, pescherecci, barche da diporto e da whale watching solcano giornalmente le sue acque. Il numero di imbarcazioni e la frequenza dei collegamenti marittimi aumenta considerevolmente durante l’estate, periodo in cui le balenottere tendono ad aggregarsi a scopo alimentare, approfittando delle elevate concentrazioni di krill mediterraneo (Meganyctiphanes norvegica).

Il problema è quindi acuto in Mediterraneo, anche se fino a pochi anni fa non se ne comprendeva appieno la gravità. Per questo motivo, qualche anno fa i ricercatori dell’Istituto Tethys hanno iniziato ad analizzare la questione più a fondo, dando vita a un lavoro che è stato recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Marine Pollution Bullettin(*). Nell’ambito di questa ricerca sono stati raccolti e analizzati tutti i resoconti di collisioni riguardanti la balenottera comune reperiti in Mediterraneo, sia eventi fatali sia casi in cui l’animale è sopravvissuto. Lo scopo era quello di valutare la portata del problema e di determinare il tipo di imbarcazioni maggiormente coinvolte, al fine di proporre e discutere le possibili misure di mitigazione e ridurre l’incidenza delle collisioni.

I risultati del lavoro indicano che su un totale di 287 carcasse esaminate 46 individui (16%) sono sicuramente deceduti a seguito di una collisione; i loro corpi sono stati trovati in mare o spiaggiati lungo le coste del Mediterraneo. A volte le carcasse sono state trovate ancora “incastrate” sul bulbo di prua di traghetti o petroliere. Il primo incidente risale al 1897 e solo altre due collisioni sono state riportate fino al 1972. Tra il 1972 e il 2001 le balenottere decedute in seguito a una collisione ammontano a 43, il che corrisponde a un tasso medio di mortalità di 1,43 animali all’anno. Si tratta tuttavia di una stima molto parziale, dato che il numero reale delle morti è verosimilmente superiore. E’ probabile infatti che molti degli incidenti avvenuti in passato, quando l’attenzione verso questi eventi era minore che ai nostri giorni, non siano stati registrati. Molte collisioni inoltre possono non essere notate a seguito di analisi post-mortem incomplete, decomposizione avanzata o attrezzatura inadeguata.

Per 24 di questi scontri è stato possibile determinare il tipo di imbarcazione coinvolta. I traghetti sembrano essere i maggiori responsabili (62,5% dei casi). Seguono le navi da carico (o cargo), i traghetti veloci e le imbarcazioni da diporto. Dall’analisi dei casi successivi al 1996, anno in cui i traghetti ad alta velocità sono stati introdotti in Mediterraneo, si evince che il 50% delle collisioni sono state determinate da questi natanti, anche se va osservato che si tratta di un campione molto piccolo (solo 7 casi).

La maggior parte delle collisioni (82,2%) sono avvenute nel Santuario dei Cetacei del Mar Ligure (Santuario Pelagos), suggerendo che questa sia una zona ad alto rischio. Il resto dei casi si sono verificati in acque spagnole o in Italia meridionale.

Non tutte le balenottere oggetto di collisioni muoiono; alcune di queste sopravvivono – probabilmente quelle che incappano nelle navi più piccole e più lente – e talvolta è possibile fotografare animali con le ferite che testimoniano gli incidenti. Nel corso dello studio citato l’Istituto Tethys ha contattato i maggiori istituti di ricerca che conducono progetti di foto-identificazione in Mediterraneo, per stimare con quale frequenza venissero fotografati animali che riportano ferite da collisione. Su un totale di 383 balenottere identificate, il 2,4% mostra ferite riconducibili a una collisione. Una balenottera è stata avvistata due volte a distanza di qualche anno con un’ampia ferita non rimarginata. Alcuni individui mostrano segni che non sono attribuibili con certezza a collisioni, come parti di pinne dorsali o caudali mancanti o malformazioni della colonna vertebrale. Va osservato che il numero di balenottere con ferite da collisione non è particolarmente elevato, a suggerire che gli animali colpiti difficilmente sopravvivono.

Al fine di ridurre il rischio di collisioni sono state proposte molte soluzioni, tra cui l’utilizzo di sonar, radar, dispositivi acustici con i quali segnalare agli animali la presenza di una nave, sistemi di acustica passiva per individuare la presenza di cetacei o presenza di osservatori a bordo delle imbarcazioni. Tuttavia, nessuna di queste soluzioni sembra essere veramente efficace, e la maggior parte dei sistemi proposti finora sono applicabili sono in determinate situazioni (solo di giorno, oppure di notte, o quando le balene vocalizzano, o esclusivamente a una certa distanza o a un certo angolo dalla nave). Inoltre, alcuni metodi producono effetti indesiderati, come l’interferenza con i sistemi di comunicazione degli animali.

Allo stato attuale, sembra che le misure mitigative per la riduzione del numero di collisioni fra le balenottere comuni e natanti in Mediterraneo siano principalmente due: 1) la riduzione della velocità delle imbarcazioni in zone ad alta densità di animali, in modo da consentire sia agli animali che al comandante dell’imbarcazione di evitare la collisione; e 2) un accurato monitoraggio della presenza e della distribuzione delle balenottere che permetta di suggerire ai traghetti rotte alternative attraverso zone a minore densità di cetacei. Quest’ultimo approccio è stato adottato dalle autorità canadesi nella Baia di Fundy per proteggere la balena franca boreale (Eubalaena glacialis).

La popolazione Mediterranea di balenottera comune è geneticamente distinta dalle vicine popolazioni Atlantiche e residente nel bacino. Non esiste una stima complessiva degli individui in tutto il Mediterraneo, ma nel solo bacino Corso-Ligure-Provenzale ne sono stati stimati circa 1000 individui. Con numeri così esigui, l’impatto delle collisioni su una popolazione isolata crea preoccupazione.

Applicare misure adeguate per diminuire il rischio di collisioni tra balenottere e grandi navi è un’impresa difficile, a causa degli interessi turistici ed economici connessi al traffico marittimo. Tuttavia, in tutte le Aree Marine Protette ed in particolar modo nel Santuario dei Cetacei, mitigare l’impatto delle collisioni non è solo possibile ma anche indispensabile e urgente se abbiamo a cuore la tutela delle balenottere comuni del Mediterraneo.

Simone Panigada e Giovanna Pesante

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Per approfondimenti:

ACCOBAMS. 2006. Report of the Joint ACCOBAMS/Pelagos Workshop on Large Whale Ship Strikes in the Mediterranean Sea, Monaco, 14-15 November 2005. Edited by M. Weinrich, S. Panigada, C. Guinnet. 35 pp.

Kraus S.D., Brown M.W., Caswell H., Clark C.W., Fujiwara M., Hamilton, P.K., Kenney, R.D., Knowlton, A.R., Landry, S., Mayo C.A., McLellan W.A., Moore M.J., Nowacek, D.P., Pabst, A.D., Read A.J. e Rolland R.M. 2005. North Atlantic right whales in crisis. Science 309:561-562.

Panigada, S., Zanardelli, M., Canese, S. e Jahoda, M. 1999. How deep can baleen whales dive? Marine Ecology Progress Series 187:309-311.

(*)Panigada, S., Pesante, G., Zanardelli, M., Capoulade, F., Gannier, A. e Weinrich, M.T. 2006. Mediterranean fin whale at risk from fatal ship strikes. Marine Pollution Bulletin 52(10):1287-1298.

Laist, D.W., Knowlton, A.R., Mead, J.G., Collet, A.S., e Podestà, M. 2001. Collisions between ships and whales. Marine Mammal Science 17(1):35-75.

09 December 2006

Coastal Dolphins of the Mediterranean



Coastal Dolphins is a short QuickTime video featuring the decline of dolphins in Mediterranean coastal waters. To see the video please visit:
http://www.tethys.org/coastaldolphins/

08 December 2006

I nostri amici delfini



"I nostri amici delfini" è un libretto per bambini da colorare.

La prima versione di questo libro è stata realizzata in lingua croata nel 1994 per i bambini dell'arcipelago di Cherso e Lussino (Adriatico settentrionale). In seguito ne sono state prodotte versioni in italiano, tedesco e francese.

Nel 2006 il libretto è stato riveduto, digitalizzato, e messo online sul sito:
http://www.cetaceanalliance.org/dolphinfriends/

Il libretto può essere stampato e utilizzato a scopo privato (è escluso qualunque utilizzo di tipo commerciale, la riproduzione di parti del libro o del sito, e l'uso del libretto o di sue parti a fini diversi da quelli educativi).

05 December 2006

The decline of common dolphins around the island of Kalamos, Greece


Seeing common dolphins bowriding and surrounding our research boat from all sides was a frequent event around the island of Kalamos. When I first moved to study dolphins in western Greece, back in 1996, these magnificent marine mammals were so abundant that one could frequently spot them from the coast, or even from the patio of our field station.

Tuna and swordfish were equally abundant, and from a distance it was sometimes difficult to tell a school of foraging tuna from a group of foraging common dolphins, as both animals performed a similar behaviour when catching anchovies and sardines near the surface. The sea was full of life, and navigating those waters was an endless source of wonder and excitement for pleasure boaters and researchers alike. The situation was so special that the area, one of the few in the central Mediterranean containing key common dolphin habitat, was declared a EC Site of Community Importance. This designation was expected to result in a commitment to protect the local resources and prevent habitat degradation.

However, only a few years later common dolphins around Kalamos had become a rare sight. Tuna and swordfish also vanished. What caused such a quick decline of high-order marine predators in this portion of the eastern Ionian Sea?

Support provided by OceanCare and WDCS - the Whale and Dolphin Conservation Society, was essential to answer this question. These organizations offered financial means and much encouragement to work hard and identify the threats affecting dolphins in the area. Was it pollution? Collisions with speedboats? Intentional killings? Interactions with fisheries? Pathogens?

More than a decade of intensive research at sea and much data analyses done by personnel from the Tethys Research Institute suggest that the main cause of common dolphin decline is overfishing of their prey. Purse seine nets, in particular, seem to be responsible for the local overexploitation and depletion of epipelagic stocks of sardines, anchovies and other fish that make the daily diet of common dolphins, tuna and swordfish. Prey depletion has been so intensive and continuous that large marine predators such as common dolphins can no longer find easy prey.

To face scarcity of food, common dolphins started dispersing and roving. Their formerly large groups broke up into smaller units, which became increasingly sparse. Between 1997-2004, common dolphin encounter rates declined 25-fold, possibly as a result of reduced reproductive success and increased mortality in an area that - as far as prey availability was concerned - had turned from paradise to hell.

Problems caused by prey scarcity summed up to entanglement and mortality in fishing gear, as documented by dead dolphins found stranded or adrift and showing amputations. Today, only a few common dolphins can still be found in the area, and this brings a feeling of sadness to those who have seen them thriving until only a few years ago.

The decline of common dolphins in the area of Kalamos flashes a red light for the conservation of the Mediterranean population. Once one of the most common cetacean species in the Mediterranean, common dolphins have declined throughout the region during the last 30-40 years. Conservation problems for the species have been recognised since the 1970s, but at that time there was little information about cause-effect relationships, as few were recording information at sea about population status and threats. After the turn of the century, however, threats affecting the animals became progressively clear. These basically included incidental mortality in fishing gear (also known as “bycatch”), habitat degradation and prey depletion caused by overfishing.

In 2003 the Mediterranean population of common dolphins was classified as Endangered in the IUCN Red List of Threatened Animals. In 2004, ACCOBAMS - the UNEP's Agreement on the Conservation of Cetaceans of the Black Sea, Mediterranean Sea and contiguous Atlantic Area - presented a comprehensive 90-page Conservation Plan for Mediterranean common dolphins, providing a detailed description of actions needed to protect the animals. Finally, in 2005 the Mediterranean population of common dolphins was included in Appendix I of the Convention on the Conservation of Migratory Species (CMS) as a consequence of their threatened status.

Have all these institutional steps contributed to making life easier for Mediterranean common dolphins? So far, they apparently haven’t. Despite all the expressions of concern, recommendations, strategic planning and scientific background produced, no relevant action has been taken that may result in common dolphin recovery in the region. Sadly, the threats which are thought to be causing decline are continuing to jeopardise the survival of relict groups such as those found around Kalamos, and the Mediterranean population at large.

Scientific research, conservation action plans and declarations of intents by the concerned Governments do not seem to suffice to reverse the present trends. Much public awareness actions, and attempts to define and communicate practical solutions to local problems are also essential.

Giovanni Bearzi

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For more information:

Bearzi G., Reeves R.R., Notarbartolo di Sciara G., Politi E., Canadas A., Frantzis A., Mussi B. 2003. Ecology, status and conservation of short-beaked common dolphins (Delphinus delphis) in the Mediterranean Sea. Mammal Review 33(3):224-252.

Bearzi G., Politi E., Agazzi S., Bruno S., Costa M., Bonizzoni S. 2005. Occurrence and present status of coastal dolphins (Delphinus delphis and Tursiops truncatus) in the eastern Ionian Sea. Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems 15:243-257.

Bearzi G., Politi E., Agazzi S., Azzellino A. 2006. Prey depletion caused by overfishing and the decline of marine megafauna in eastern Ionian Sea coastal waters (central Mediterranean). Biological Conservation 127(4):373-382.

04 December 2006

Pristine?



The problem of "shifting baselines" and the damage caused by overfishing is featured in the excellent educational slide show posted at:
http://www.shiftingbaselines.org/slideshow/index.html

03 December 2006

I vent'anni di Tethys



31 gennaio 1986 - 31 gennaio 2006:
Vent'anni di ricerca e impegno per la tutela dei cetacei in Mediterraneo

Delfini e balene del Mediterraneo sempre più in pericolo, esposti a minacce che vanno dalla morte nelle reti al degrado dell’ambiente, dalla scarsità di prede causata dalla pesca eccessiva al rumore. Beniamini nei documentari televisivi e amati da tutti, i cetacei che vivono nei nostri mari sono in realtà poco conosciuti, poco studiati, e ancor meno tutelati. Chi si occupa di loro?

Tra le diverse realtà italiane che hanno a cuore la sorte di questi mammiferi marini e si battono per la loro tutela spicca l’Istituto Tethys. Fondato il 31 gennaio 1986, Tethys ha raggiunto il traguardo dei vent’anni di attività. Venti anni durante i quali biologi e naturalisti appassionati hanno portato uno straordinario contributo alla conoscenza e salvaguardia di questi animali.

Basandosi esclusivamente sull’autofinanziamento, Tethys ha generato una delle maggiori banche dati sui cetacei del Mediterraneo e oltre 250 contributi scientifici.

L’Istituto è stato il primo a concepire e proporre la creazione del Santuario Pelagos, sulla base di informazioni dettagliate ottenute in mare. I dati raccolti nel corso di campagne di ricerca svolte sin dal 1990 nel bacino Corso-Ligure-Provenzale (l’attuale Santuario) hanno contribuito a dimostrare che la balenottera comune – che con la balenottera azzurra è il più grande animale vivente - è endemica nel Mediterraneo, si trattiene cioè in queste acque senza migrare altrove.

Tethys ha svolto studi a lungo termine sui tursiopi dell’Adriatico settentrionale a partire dal 1987, e su delfini comuni e tursiopi nel Mar Ionio orientale da oltre un decennio. I metodi di ricerca utilizzati dai biologi dell’Istituto sono estremamente vari e comprendono telemetria, studi di popolazione e utilizzo dell’habitat basati su transetti lineari e dati telerilevati, l’uso combinato di binocoli laser e GPS per tracciare e registrare gli spostamenti dei cetacei, ricerca bio-acustica, foto-identificazione, studio del comportamento, prelievo di biopsie cutanee per analisi genetiche e tossicologiche, e ricerche storiche.

Tethys possiede archivi fotografici sui cetacei comprendenti molte decine di migliaia di immagini, che hanno permesso l’identificazione di oltre 1.300 individui diversi appartenenti a sette specie di cetacei del Mediterraneo – dall’immenso capodoglio al simpatico grampo, dallo strano globicefalo al misterioso zifio.

Oltre a proporre la creazione del Santuario Pelagos, Tethys è sempre stato molto attivo sul fronte della tutela, anche a livello internazionale. In seguito a una proposta presentata nel 2003, la popolazione mediterranea del delfino comune è stata classificata dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN) come “Endangered”, ovvero a rischio di estinzione, nella Lista Rossa delle specie minacciate. Quest’anno, il lavoro di Tethys ha contribuito a classificare il sempre più raro delfino comune nell’Appendice I della Convenzione sulla Conservazione delle Specie Migratrici (Bonn Convention o CMS) – il che attribuisce a questo cetaceo un’altissima priorità di tutela (che si spera si traduca presto in azioni concrete per la sua salvaguardia).

Insomma, vent’anni di battaglie, sconfitte, sacrifici e vittorie che hanno portato i cetacei del Mediterraneo un po’ più al centro dell’attenzione e ci hanno permesso di sapere come vivono e cosa li minaccia.

Giovanni Bearzi

02 December 2006

La genesi di Tethys



di Giuseppe Notarbartolo di Sciara

(fondatore e primo Presidente di Tethys)

La nascita della Tethys, come affettuosamente la chiamiamo – al femminile forse per naturale concordanza con la dea da cui prendemmo in prestito il nome - è un evento legato alle mie vicende personali. Nel 1985, conseguito un dottorato sull’ecologia delle mante alla Scripps Institution of Oceanography, in California, decisi di tornare in Italia dopo la lunga assenza, richiamato dal desiderio di contribuire con le conoscenze acquisite alla conservazione dell’ambiente marino mediterraneo. La faccenda non era semplice poiché la blindatissima configurazione della ricerca nazionale non consente l’ingresso se non dal basso, e io, andandomene all’estero, senza saperlo avevo mancato definitivamente quella finestra di opportunità.

Fu così che al mio ritorno dalla California mi aggregai con entusiasmo, in qualità di science editor, all’avventura editoriale dell’amico Egidio Gavazzi, che dopo la sua fortunata invenzione della rivista Airone, pubblicata da Giorgio Mondatori, aveva fondato la sua casa editrice e creato Aqua. Il nostro sodalizio non durò a lungo. Tuttavia bastò quanto serviva per porre insieme le basi per alcune iniziative che trascendevano i confini delle attività strettamente editoriali. Di queste iniziative la più significativa fu, appunto, la Tethys. Riunitici a Milano nel gennaio 1986 nello studio del notaio Federico Guasti per costituire l’Istituto Tethys, pensavamo a un contenitore di iniziative scientifiche mirate alla conservazione del mare, intimamente legato alla rivista.

Purtroppo il sodalizio con Egidio Gavazzi si concluse molto presto, insieme alla chiusura della casa editrice da lui fondata. Mi trovai in tal modo libero di decidere autonomamente sulle sorti del neonato organismo, per nulla rosee perché non c’era una lira. Ma se i fondi scarseggiavano, non facevano difetto le idee e la determinazione di impiegare la ricerca a qualsiasi costo per aiutare la conservazione. Di fatto la vera ricchezza fu l’entusiasmo che si portarono in dote gli studenti che intorno a me si aggregarono a formare il primo nucleo, a cominciare da Margherita, Giovanni, Elena, Sabina, Fabrizio, a cui presto si aggiunsero Maude e un manipolo di aspiranti cetologi. Iniziò così la costruzione dei progetti, per raccogliere i dati e farli uscire fuori dai patri confini su riviste serie; era la prima volta che il mondo della ricerca internazionale scopriva che anche nei mari italiani esistevano delle popolazioni di cetacei da cui molto si poteva imparare.

Attendere finanziamenti non ci avrebbe portato lontano: denaro pubblico nemmeno a parlarne, mentre le sponsorizzazioni private si dimostrarono presto poco meno che un patto col diavolo. Pertanto, introducemmo in Italia la formula dei volontari paganti, il metabolismo basale di tutte le attività della Tethys, successivamente potenziato con l’aiuto di Fabio Ausenda e con la creazione di Europe Conservation. Furono gli anni del maggiore sviluppo, grazie anche al successo delle campagne di adozione di balene e delfini, che videro tra le altre cose il forte impulso alle ricerche in Mar Ligure, la proposta del Santuario Pelagos, l’acquisto del mitico Gemini Lab, l’ospitalità generosamente offerta dal Comune di Milano presso la sede dell’Acquario Civico, la scoperta della balenottera "mediterranea" e le approfondite ricerche sui tursiopi di Lussino sullo sfondo della Croazia in fiamme. Anni indimenticabili, nei quali le ristrettezze risultavano addolcite dalla soddisfazione dei successi scientifici.

La Tethys aveva dieci anni quando, nel 1996, fui nominato presidente dell’Istituto Centrale per la Ricerca Applicata al mare, un ente dello Stato, e pertanto mi ritenni in dovere di dimettermi da tutte le cariche per esigenze di trasparenza e correttezza. Fu una decisione sofferta, ma che indusse i "Tetidi" al giro di boa della crescita obbligata sotto la sferzata della necessità. E infatti il meccanismo ha continuato a funzionare, migliorandosi.

Da allora è trascorso un altro decennio, e la Tethys ha varcato la soglia dei vent’anni. È diventata con pieni diritti una componente del paesaggio scientifico cittadino, nazionale e internazionale. Ha prodotto conoscenze utili alla conservazione dell’ambiente marino, e continua a produrne senza pesare in alcun modo sulle tasche dei contribuenti. Ha formato decine di giovani ricercatori, e continua a formarne, cercando anche di rincuorarli quando lo sconforto per le prospettive di chiunque faccia ricerca in Italia sembra prendere il sopravvento. Tutto ciò è stato possibile grazie alla passione e alla caparbia di tutti quelli che hanno creduto nell’idea, dal 1986 a oggi.