31 January 2009

We are 23 years old !


31 January 1986 – 31 January 2009

Tethys celebrates its 23rd birthday.

30 January 2009

Aerial survey in the Pelagos Sanctuary: message from the field


Today 21 striped dolphin sightings, glassy sea for most of the day.

Fin whales seem completely disappeared from the Sanctuary.

SP

(click on image to expand)

Tethys field station in Galaxidi now completed


The new field station in Galaxidi, on the Gulf of Corinth, is finally ready.

The small apartment for Ionian Dolphin Project staff members has been completed (photo in this blog) and it now looks as welcoming as the adjacent area that houses project participants (see more photos
at: photo_idpc_base.htm).

Work with volunteers will start in April - please consider joining us in Greece and sharing with us the excitement of this new enterprise!

Giovanni Bearzi

29 January 2009

Aerial survey in the Pelagos Sanctuary: message from the field


All is proceeding here in Corsica. The weather has been horrible and we had to wait almost a week before being able to fly a few transects.

Attached is a figure with an update of the tracks covered so far (click on image to enlarge). The forecast is good for the next three days and we plan to work on the north part tomorrow (C68-C63), finish the west part on Friday and complete the east section on Saturday, including the 'bad weather' tracks.

Then a few fronts are coming in, starting Sunday and they may last up to a week. I have herefore decided to leave Bastia and go home for a week or ten days, until the weather gets better. The pilot has also some commitments in La Rochelle, so all fits well.

Sightings have not been very many, 34 striped dolphin sightings up to now, and just a couple of Tursiops. Still no whales at all.

Simone Panigada

28 January 2009

Aerial survey in the Pelagos Sanctuary: message from the field


Everything goes well - finally the weather is good. We fly and we sight.

We made 44 sightings of striped dolphins, but still no fin whales.

Today we are going to complete the west sector of Corsica.

Yesterday beautiful sighting of striped dolphins (click on photo to enlarge).

Simone Panigada

23 January 2009

Ma dove sono finite le “piatte” di gennaio?


Prima di decidere le date definitive del survey aereo alla ricerca delle balenottere comuni e stenelle striate del Santuario Pelagos - previsto per il periodo invernale - abbiamo a lungo raccolto informazioni circa lo stato del mare e del vento nei vari mesi. Dopo diverse chiacchierate con meteorologi, pescatori, comandanti di traghetti, piloti di aerei, velisti, abbiamo riscontrato un ampio consenso: "Gennaio è di gran lunga il mese migliore per un survey aereo come quello che vi promettete di fare".

Questo è stato per mesi il leitmotiv che ci siamo sentiti ripetere dalle persone contattate. I pescatori dell’Asinara raccontavano di settimane di mare calmissimo, tanto che proprio in gennaio riescono a pescare i ricci di mare dalla barca e organizzano un festival dedicato a questi echinodermi. I meteorologi ricordavano giorni e giorni di calma piatta e alta pressione in tutto il nord Italia: mi dicevano che gennaio è caratterizzato da nebbie fitte in pianura padana, tipiche di una situazione di pressione alta e costante, che in mare si manifesta con condizioni ideali per un monitoraggio aereo. Il pilota del Partenavia P68 che utilizziamo per la ricerca diceva che non avremmo potuto scegliere periodo migliore e anche a lui risultava che gennaio fosse proprio il mese ideale.

Ebbene, dopo 14 giorni trascorsi in Corsica, sempre all’erta per decollare e riuscire a portare a termine uno o due transetti, ancora non abbiamo avuto nemmeno un assaggio di queste condizioni anticicloniche. Il mare e il vento sono stati implacabili, con previsioni pessime e condizioni proibitive per il volo e l’avvistamento.

La figura in qusto post (fare click per espanderla) mostra le previsioni per domani, sabato 24 gennaio, con il Mar Ligure interessato da vento da nord-ovest, il famigerato Mistral, con punte fino a forza 10 della scala Beaufort (tempesta con vento fino a oltre 100 km/h)

Ma dove sono finite le calme piatte di gennaio?!

Simone Panigada

22 January 2009

The new field station of Tethys in Greece


One more "message from the field" from another part of the Mediterranean...

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After ten days of hard work we are seeing the light at the end of the tunnel - the new field station in Galaxidi, on the Gulf of Corinth, is almost ready. We are still working in the staff headquarters and the patios, but the space for volunteers has come out quite nice.

In the photos posted here you can see how it was at our arrival. Photos of how it is now can be found at:

photo_idpc_base.htm

We also posted some new photos of the area:

photo_idpc_area.htm

photo_idpc_life.htm

We managed to get cable connection and set up our private mooring facilities.

So far so good :-)

Giovanni, Silvia and Joan

21 January 2009

Aerial survey in the Pelagos Sanctuary: a message from the field


Posted below is the latest "message from the field" sent in by the researchers engaged in the aerial survey of cetaceans in the Pelagos Sanctuary: Simone Panigada, Giancarlo Lauriano and Nino Pierantonio.

(click on image to expand)

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Hi everybody,

for those of you who are interested, I am sending an updated figure with the tracks covered so far and the striped dolphin sightings (white square).

We saw a basking shark yesterday in the Asinara gulf.


All is going fine, still no fin whales, but we have hope for the north-western part of the Sanctuary.


The weather has not been great so far, we manage to fly only 3-4 hours per day due to bad weather conditions, while we could easily fly for 7-8 in good and calm weather.


Today we are not going out, we hope to be able to fly tomorrow.


Eleonora de Sabata, a friend and journalist from Rome, has been with us for the week end, and will write some articles for the Italian media.


Best regards,


Simone, Giancarlo and Nino

18 January 2009

Survey aereo nel Santuario


Nel nuovo Blog di Eleonora De Sabata potete trovare gli ultimi aggiornamenti sul survey aereo che l'Istituto Tethys sta svolgendo nel Santuario dei Cetacei.

Per maggiori informazioni sul survey aereo:
http://www.tethys.org/projects/Pelagos/index.htm

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Foto: Eleonora De Sabata
http://med2009.wordpress.com/

17 January 2009

Tonno rosso: collasso vicino


Se ne pescano troppi. Specie sempre più a rischio

Tra tutti gli esempi di mal gestione delle risorse della pesca, quello del tonno rosso mediterraneo è forse, a livello globale, tra i meno edificanti.

Thunnus thynnus, che non è quello che popola le scatolette (T. albacares), è un pesce molto speciale. Con una lunghezza di oltre tre metri e il peso di oltre 600 kg è uno dei più grandi pesci esistenti; le sue forme idrodinamiche e la sua capacità di termoregolare gli consentono alte velocità ed estese migrazioni, che lo portano dalle acque tropicali a quelle artiche. La specie consta di due popolazioni, una delle quali si riproduce nel Golfo del Messico, l’altra nel Mediterraneo; qui ha alimentato per secoli un’attività di pesca di grande valore culturale ed economico, effettuata mediante labirinti di rete - le tonnare - disposte lungo i suoi percorsi migratori.

Dunque il tonno rosso è una delle ricchezze più significative e importanti del Mediterraneo, sia dal punto di vista ecologico che da quello economico, che bisognerebbe conservare gelosamente, e il cui sfruttamento dovrebbe essere gestito con grande cura. In realtà, la combinazione tra l’elevatissimo valore commerciale delle sue carni - considerate prelibate dai cultori del sushi dall’altra parte del pianeta - e l’assenza di un’efficace politica di gestione della pesca in Mediterraneo stanno decretando l’estinzione innanzitutto della tradizione alieutica, e in secondo luogo del tonno stesso.

I primi segni di sofferenza dello stock apparvero alla fine degli anni ’60, quando i sistemi di pesca tradizionali vennero sostituiti dalle più moderne reti a circuizione (dette “tonnare volanti”), molto più efficienti, ma anche più distruttive. Malgrado le misure di conservazione introdotte a partire da quell’epoca, il tonno rosso ha continuato imperterrito il suo declino. La popolazione occidentale è oggi ridotta al 13% rispetto al 1975, quando era già impoverita, mentre quella orientale, che si riproduce in Mediterraneo, è già scomparsa dal Mar Nero e dal Mare del Nord.

Il motivo di tanta incapacità gestionale da parte dei governi interessati è semplice. Lo stato di diritto in cui ci crogioliamo evidentemente nulla sembra potere di fronte al gigantesco giro di interessi economici, secondo alcuni in parte malavitosi, legato allo sfruttamento del tonno e alla sua commercializzazione soprattutto in Giappone, dove se ne consuma il 40% del pescato globale e dove raggiunge prezzi vertiginosi (un singolo tonno è stato venduto a Tokyo per 150.000 dollari!).

Oggi non tutti i tonni catturati vanno immediatamente sul mercato; per il 90% vengono stabulati in grandi gabbie galleggianti, dove vengono ingrassati e macellati successivamente. La riduzione del prezzo ottenuta mediante tale espediente ha reso il prodotto accessibile a un mercato ben più vasto, facendo lievitare la domanda.

Di fronte all’onda di piena è servito a ben poco stabilire delle quote da parte dei governi, puntualmente eccedute dalle catture illegali e non riportate. Per di più, una volta introdotti nelle gabbie - pratica per lo più svolta in alto mare, lontano da qualsiasi monitoraggio - i tonni diventano legalmente oggetto di post-produzione, per cui la loro sorte non è soggetta alle regole internazionali della pesca.

Secondo una stima del WWF, la quantità di tonni oggi pescata nel Mediterraneo è il triplo di quella che la popolazione può sostenere, e il suo collasso è pertanto soltanto questione di tempo. Di fronte all’impotenza delle autorità, l’unica soluzione, secondo alcuni, risiede nella pressione da parte dei consumatori. In tal senso, esemplare è stata la decisione del gruppo francese Auchan, che ha sospeso la vendita di tonno orientale notando che mentre la scienza raccomandava un tetto di 15.000 tonnellate, le autorità ne concedevano 29.500, peraltro abbondantemente superate dalla pesca illegale. Tuttavia, viene da chiedersi come possa funzionare tale meccanismo in un mercato lontano, ma di fondamentale rilevanza, come quello del Giappone.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura n. 5/2008

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Disegno di Massimo Demma

10 January 2009

Aree Marine Protette


Una nave senza timone... va a scogli. Così accade ai santuari di biodiversità, se dopo l’istituzione non sono gestiti.

Nella cassetta degli attrezzi di chi si occupa di tutela del mare, le aree marine protette (AMP) occupano un ruolo di primo piano, anche se non l’unico. I Paesi del Mediterraneo – soprattutto Spagna, Italia e Francia, ma anche Israele e Turchia – hanno fatto grande uso di AMP per tutelare i loro ambienti marini più importanti, ricchi di biodiversità e vulnerabili.

Creare e gestire AMP in maniera efficace non è facile, perché l’impresa richiede esperienza, dedizione e considerevole impegno di risorse umane e finanziarie. Ciononostante, in moltissimi casi il gioco vale la candela.

Tanti sono gli ingredienti necessari al successo di una AMP, ma due sono più importanti degli altri. Il primo è il consenso. Se si cerca di istituire un’AMP andando in contropelo alla gente del luogo, si fa dieci volte la fatica con un decimo del risultato. Nell’ultimo decennio è andata via via affermandosi la consapevolezza che un’AMP può portare considerevoli vantaggi locali, per cui oggi è possibile assicurare, non solo il favore, ma anche il coinvolgimento dei diretti interessati nel progetto di tutela; i quali ne dovrebbero essere, idealmente, i protagonisti. Al contrario, anni fa le AMP erano viste dai locali come una prevaricazione e una mal tollerata imposizione di vincoli da parte dello Stato, ed erano botte da orbi a tutto scapito della tutela del mare.

Dunque, occorre che vi sia una convergenza, un bilanciamento tra l’azione dall’alto (top-down) dei poteri centrali, che conferiscano all’AMP la corretta collocazione giuridica e la necessaria stabilità istituzionale, e quella dal basso (bottom-up), che assicuri che il provvedimento sia localmente sentito, desiderato e mantenuto nel tempo. Risultato ottenibile solo mediante una combinazione tra una paziente azione di sensibilizzazione ed educazione e fatti concreti.

Il secondo ingrediente essenziale è che l’AMP deve essere gestita. Scriveva Randall R. Reeves, grande esperto di conservazione dei mammiferi marini, che un’area protetta senza piano di gestione è come una nave senza timone. Sembrerebbe cosa ovvia, ma la realtà è che delle oltre 100 AMP censite in Mediterraneo soltanto il 40% ha oggi un piano di gestione approvato e in fase di attuazione. Questo significa che gran parte delle AMP istituite in Mediterraneo non protegge un bel niente, se non sulla carta.

In realtà è impensabile che qualsiasi organismo possa svolgere un ruolo delicato come quello di una AMP senza un direttore, uno staff, delle strutture, i necessari poteri e un minimo di risorse umane e finanziarie. Solo con questi mezzi sarà possibile formulare un piano di gestione che fissi degli obiettivi, delinei le azioni necessarie a raggiungerli e identifichi degli indicatori con cui periodicamente misurare l’efficacia delle azioni e il raggiungimento degli obiettivi – come ormai si fa di routine in tutte le aree protette del mondo degne di tal nome.

Un esempio tra tutti ce lo fornisce il Santuario Pelagos per i cetacei, istituito nel 1999 da un trattato tra Italia, Francia e Monaco. Pelagos potrebbe essere, e speriamo sarà, una straordinaria occasione di innovazione nel campo della tutela ambientale marina, sotto il profilo giuridico, scientifico e di comunicazione. Gode perfino di una decorosa dotazione economica grazie ai fondi stanziati dal Parlamento italiano nella legge di ratifica. Tuttavia, le complesse funzioni di gestione sopra citate non possono essere svolte semplicemente dal Segretario del trattato, per quanto grande possa essere la sua buona volontà. Il rischio reale a cui stiamo andando incontro per questa carenza di governance è che Pelagos perda la sua credibilità e che la nave senza timone vada a finire sugli scogli facendo più danni che se non fosse mai esistita.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura n. 1/2008

Foto: Marina Costa / Tethys

09 January 2009

The largest Marine Protected Area


The US is going to establish the world's largest oceanic protected area in the Pacific.

The area will span about 190,000 square miles in the Pacific Ocean and will include the so-called ‘trio of marine national monuments’: the Mariana Trench and Northern Mariana Islands, the Rose Atoll in American Samoa and a chain of remote islands in the Central Pacific.

The area covered include some of the most remote islands and some of the most biologically diverse places on the planet including coral reefs and atolls, undersea volcanoes, hot seafloor vents and submarine pools of sulphur thought to be unique on earth.

In this part of the Pacific Ocean fishing will be probably banned or limited in many island areas, volcanoes and hydrothermal vents along the ocean floor beneath the Mariana Islands will also be protected.

Silvia Bonizzoni

Photo: Marina Costa / Tethys

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For more information:
http://www.telegraph.co.uk
http://news.bbc.co.uk
http://www.globaloceanlegacy.org

08 January 2009

Whale and dolphin courses in the Mediterranean Sea


See the Call

Tethys just issued a Call for its field courses in 18 languages, including Arabic, Chinese, Croatian, Catalan, Danish, Dutch, English, French, German, Hebrew, Hindi, Hungarian, Italian, Portuguese, Serbian, Slovak, Spanish and Swedish.

07 January 2009

Primo survey invernale sui cetacei del Santuario Pelagos


Nel mese di gennaio 2009 l'Istituto Tethys svolgerà il primo censimento invernale dei cetacei nel Santuario Pelagos, effettuato da uno speciale aeroplano al fine di fornire informazioni sulla presenza, distribuzione e abbondanza dei cetacei in una stagione in cui le conoscenze sono molto scarse.

Lo studio produrrà una stima della densità e abbondanza assoluta delle due specie più frequenti nelle acque del Santuario nel periodo invernale, la stenella striata - un piccolo delfino - e la balenottera comune, che con i suoi 18 metri di lunghezza è il più grande cetaceo del Mediterraneo.

Il progetto si svolge nell’ambito di un ampio programma di ricerca nelle acque del Santuario finanziato dal Ministero dell’Ambiente. Coordinatore e responsabile scientifico del progetto è Simone Panigada, Vicepresidente dell’Istituto Tethys. Al censimento parteciperà anche Giancarlo Lauriano, ricercatore dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA).

“L’area interessata dal monitoraggio aereo coprirà l’intero Santuario Pelagos, ovvero le acque comprese tra la costa ligure e toscana e le isole di Corsica e Sardegna“ - spiega Simone Panigada. “Abbiamo preferito un aereo perché, rispetto alle imbarcazioni utilizzate di solito per la ricerca sui cetacei, è un mezzo che dipende di meno dalle condizioni meteorologiche e permette di ottimizzare la raccolta dei dati concentrando le uscite in poche giornate caratterizzate da condizioni meteo-marine favorevoli e buona visibilità”.

L’utilizzo di un aereo consentirà all’Istituto Tethys di coprire accuratamente l’intera area del Santuario e di ottenere dati più robusti in un periodo come quello invernale, caratterizzato da frequente maltempo.

L’aereo utilizzato sarà un Partenavia P-68 equipaggiato conspeciali finestrini “a bolla” che consentiranno ai ricercatori di scrutare il mare sottostante. Questi piccoli aerei bimotore sono ideali per questo tipo di ricerche e già ampiamente utilizzati nell’ambito di survey su balene e delfini in acque extra-mediterranee.

Questo primo censimento aereo invernale avrà anche lo scopo di identificare la presenza di habitat critici per i cetacei e fornire indicazioni utili alla gestione di quest’area protetta.

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http://www.tethys.org/projects/Pelagos/index.htm

06 January 2009

A question to Bernd Würsig


Q:
What do you enjoy most about your career?

A: Bright inquisitive promising students who care about nature and life, probably like you.



From http://www.marinebiology.edu/WursigQuestions.htm

Bernd Würsig is Regents Professor of Marine Mammalogy & Director of the Marine Mammal Research Program, Texas A&M University

05 January 2009

Una scomoda verità


I rumori prodotti dall’uomo a scopi economici e militari uccidono la fauna più sensibile

Molti ritengono il mare il mondo del silenzio, ma non è così. Il suono si propaga sotto la superficie in modo più efficiente e veloce che nell’aria, e su distanze ben maggiori. Non deve dunque meravigliare che suoni e rumori sott’acqua siano, più che l’eccezione, la norma.

Alcuni di questi sono di fonte naturale, come la pioggia, i frangenti sospinti dal vento, i movimenti dei ghiacci, i terremoti e i suoni emessi da una varietà di animali marini. Altri suoni sono prodotti dalle attività umane, divenuti negli ultimi decenni talmente intensi e ubiquitari da costituire oggi la frazione di gran lunga più importante del totale del rumore subacqueo. Per esempio, il suono possente e di bassa frequenza prodotto dalla cavitazione dell’elica si propaga per un raggio talvolta di centinaia di chilometri intorno alla nave che lo produce, e in zone di traffico intenso come il Mediterraneo costituisce un onnipresente, fastidioso sottofondo. Questa condizione riduce fortemente le distanze alle quali i cetacei, soprattutto le grandi balenottere, possono comunicare tra loro, con conseguenze per ora inesplorate sulla loro vita sociale.

Purtroppo i problemi non si fermano al fastidio: vi sono rumori prodotti dall’uomo che possono anche uccidere. Nel maggio 1996 tredici esemplari di zifio, un cetaceo di medie dimensioni non raro in Mediterraneo, finirono morti o morenti sulle spiagge della costa occidentale del Peloponneso, in Grecia, in concomitanza con una esercitazione Nato in cui venivano sperimentati nuovi tipi di sonar a bassa e media frequenza.

Queste apparecchiature necessarie per l’individuazione di sommergibili nemici divennero successivamente di uso comune in molte marine militari, per cui simili episodi si verificarono con crescente frequenza in molte altre parti del mondo: diciassette esemplari di cetacei morirono alle Bahamas nel marzo 2000, dodici nelle acque delle Canarie nel settembre 2002 e altri tre nel luglio 2004 sempre alle Canarie, tanto per citarne solo alcuni; tutti eventi precisamente collegabili con esercitazioni navali. L’entità del fenomeno è sicuramente molto più imponente di quanto non facciano supporre i limitati episodi fortuitamente approdati all’onore della cronaca e dell’indagine scientifica.

Non è ancora chiaro quali siano i meccanismi fisiologici responsabili di eventi tanto drammatici. Per alcuni studiosi non si può escludere l’effetto diretto sui tessuti degli animali delle vibrazioni ad alta energia prodotte dai sonar. Tuttavia, l’ipotesi più verosimile è che il suono abbia il potere di mandare nel panico gli animali nel corso delle loro profonde immersioni, inducendoli a emergere in fretta e senza seguire le procedure adeguate. Infatti, le necroscopie effettuate sugli animali spiaggiati hanno rivelato massicci fenomeni di embolia, fino ad allora sconosciuti tra i cetacei.

Ma non sono solo i militari a produrre rumori subacquei ad alta intensità, capaci di arrecare danni alla vita marina. Attività costruttive disseminate lungo l’intero sviluppo delle coste del Mediterraneo possono generare rumori alquanto nocivi per molti animali marini come i cetacei. Per esempio, i recenti lavori di costruzione di un frangiflutti a protezione del porto di Montecarlo, appoggiato su pali infissi nel fondo mediante percussione, generarono nell’estate 2000 rumori di natura impulsiva talmente intensi da essere chiaramente rilevabili a 90 chilometri di distanza.

È però forse l’industria dell’energia la maggiore responsabile di inquinamento acustico marino. Sotto lo stimolo del prezzo del petrolio in continua ascesa e di una crisi energetica che si profila all’orizzonte, la ricerca di giacimenti di idrocarburi e gas nel fondo del mare è sempre più intensa. Il metodo utilizzato per individuare questi giacimenti consiste nel pattugliare la zona da prospettare mediante dispositivi detti “airguns” che, trainati da apposite navi, emettono suoni esplosivi ad altissima intensità. L’eco di questi suoni riflessa dal fondo rivela presenza, profondità e tipologia del giacimento, di cui potrà poi essere programmata l’estrazione. Purtroppo un simile “trattamento” al mare ha il potenziale di sloggiarne gli abitanti, soprattutto se si tratta di animali come i cetacei, che si basano in gran parte sul suono per navigare e comunicare, e che quindi hanno un udito straordinariamente sensibile.

Alle marine militari e all’industria dell’energia nessuno chiede di chiudere bottega per il benessere dei cetacei. Purtroppo non viviamo in un’epoca in cui possiamo fare a meno di presidiare il mare, e d’inverno ci fa piacere poter riscaldare le nostre case. Tuttavia, anche tutelare la biodiversità marina è un obbligo da tutti riconosciuto, e per far questo ci vuole come minimo onesta collaborazione tra tutte le parti in causa. Tale onestà esiste, purtroppo, nelle dichiarazioni degli interessati più che nella realtà.

Il 26 gennaio 2006 quattro zifii finirono morenti sulla costa spagnola nei pressi di Almería. Necroscopie tempestivamente eseguite rivelarono senza ombra di dubbio la presenza di embolia tipicamente provocata da sonar militari. Per mesi tutte le principali marine militari operanti della regione, interpellate, negarono con enfasi qualsiasi responsabilità. Si dovette attendere l’uscita di un voluminoso rapporto della marina degli Stati Uniti nel luglio 2007 per apprendere, sepolta tra le righe, la notizia che proprio il 26 gennaio 2006 cinque unità navali appartenenti alla “Response 10 Force Maritime Group Two” della Nato, nel corso di una esercitazione contro un sommergibile spagnolo, utilizzarono sonar di media frequenza entro un raggio di 22 chilometri dalla località dello spiaggiamento. Svelato l’arcano.

Alla recente riunione delle Parti contraenti dell’Accordo “Accobams” per la tutela dei cetacei del Mediterraneo e Mar Nero (ottobre 2007), la delegazione francese si oppose con veemenza all’adozione di semplici linee guida per affrontare il problema, che erano state predisposte dal Comitato Scientifico dell’Accordo su precisa istruzione impartita dalle Parti stesse durante la riunione precedente. Vennero richiesti più studi, più riunioni, più comitati, più tempo, con l’effetto di rimandare qualsiasi vera azione a data da destinarsi. Tuttavia sappiamo bene che non sono più gli studi quelli che servono per affrontare la situazione.

Molto, anzi moltissimo si può fare per risolvere praticamente i problemi dei cetacei e della biodiversità marina più in generale, consentendo al tempo stesso uno svolgimento razionale e rispettoso delle attività umane in mare. Basterebbe, per esempio, limitare le esercitazioni militari al di fuori degli habitat critici di certe specie, oppure limitare le prospezioni a stagioni in cui le specie migratrici sono assenti. La scomoda verità è che i cosiddetti “poteri forti” sono talmente forti che non hanno un grande interesse, al di là delle belle parole, a cercare il compromesso.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura n. 4/2008

04 January 2009

Delfinese illustrato?

Fino a poco tempo fa le metodologie più usate per rappresentare i suoni dei delfini erano perlopiù basate su sonogrammi che raffiguravano la frequenza e ampiezza delle onde sonore. Con una nuova tecnologia, sarebbe ora possibile associare le emissioni sonore a delle immagini, aprendo così la strada a nuovi studi.

Uno strumento schematizza in un'immagine la struttura di ogni vocalizzazione. In questo modo si creano tante immagini, ognuna delle quali rappresenterebbe una sorta di "frase illustrata". Con l’applicazione di questo metodo potrebbe essere possibile migliorare le nostre conoscenze sul linguaggio di questi intelligenti mammiferi marini e tentare di comprenderne i significati.

Annalise Petroselli

Fonte: http://speakdolphin.com/research.cfm

03 January 2009

The Story of Stuff in 11 languages


The Story of Stuff is a 20-minute, fast-paced, fact-filled look at the underside of our production and consumption patterns.

It exposes the connections between a number of environmental and social issues, and calls us together to create a more sustainable and just world.

The Story of Stuff, launched online in December 2007, has now been translated into 11 languages and it is also possible to find a complete translation in each language. This is contributing to an amazing dissemination of the important message conveyed by the video, which according to its creators has been viewed by more than 4 Million people.

The Story of Stuff (main)

The Story of Stuff (international)

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Una versione sottotitolata in italiano non è ancora stata inclusa nel sito ufficiale, ma è disponibile su:

http://it.youtube.com (Parte 1 di 3)
http://it.youtube.com (Parte 2 di 3)
http://it.youtube.com (Parte 3 di 3)

02 January 2009

Book of the Month: January 2009


Our Inner Ape

A Leading Primatologist Explains Why We Are Who We Are


by Frans De Waal

2006

Penguin Group, New York

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January’s Book of the Month is ‘Our Inner Ape’ by Frans de Waal. It is an insightful overview of the amazing similarities between us and our ape ‘relatives’, chimpanzees and bonobos, leading to a deeper understanding of what is like to be a human.

While De Waal is clearly fond of his study subjects, he is one of the scientists who chose to study apes in captivity. On page 36 he writes:

“This is the sort of intelligence that draws many of us to the study of apes. Not just their aggressive or sexual behaviors, much of which they share with other animals, but the surprising amount of insight and finesse they put into everything they do. Since much of this intelligence is hard to pinpoint, studies of captive apes are absolutely essential. In the same way that no one would try to measure a child’s intelligence by watching him or her around in the school yard, the study of ape cognition demands a hands-on approach. One needs to be able to present the apes with problems to see how they solve them. Another advantage of captive apes under enlightened conditions (meaning spacious outdoor areas and a naturalistic group size) is that one can watch their behavior much more closely than is possible in the field, where at critical moments they tend to disappear in the undergrowth.”

Then (p. 39-40), De Waal acknowledges one limitation of captive studies:

“Most of my colleagues are field-workers. Whatever the advantages of research on captive apes, it can never replace the study of natural behavior. For every remarkable ability demonstrated in the laboratory, we want to know what it means for wild chimps and bonobos, what kind of benefits they gain from it.”

And yet, De Waal seems to accept that his work somewhat contributes to ‘legalizing’ the deprivation of freedom for animals he sees as very close to his own kind, including in terms of emotions and sensibility. This reminds of researchers who focus their work on unfolding the intelligence of dolphins, but do that in a pool.

Apart from the never-ending debate about captivity, which should probably not be rehearsed here, isn’t it curious that some choose to express their appreciation and love for animals in settings that actually contribute to depriving these creatures of some of the fundamental rights they are entitled to?

If we come to the conclusion that apes (or dolphins) are entitled to freedom, shouldn’t we accept the difficulties of studying them in the wild, therefore not only expressing our appreciation with words, but also embodying it?

Giovanni Bearzi

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You may comment on this in the Discussion Board of the Tethys facebook page.

01 January 2009

Ma come sta il nostro mare?


Come sta il mare? Una domanda che ci viene posta di frequente, semplice e diretta, alla quale tuttavia non è possibile rispondere con altrettanta semplicità. L’unica cosa semplice che si può dire in proposito è che tutte le malattie del mare sono provocate dall’uomo.

Possiamo considerare il mare sotto molti diversi aspetti, e a seconda del punto di vista possiamo fare delle differenti diagnosi. Per esempio, possiamo considerarlo sotto il profilo della molteplicità degli ambienti di cui è costituito. A noi animali terrestri il mare può sembrare tutto uguale; in realtà è un mosaico di ecosistemi, ognuno con sue differenti particolarità e vulnerabilità, che per loro caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche possono differire l’uno dall’altro tanto quanto una foresta tropicale differisce da un deserto. Ci sono il mare costiero e quello profondo, la barriera corallina tropicale e la banchisa polare, la laguna salmastra e l’alto mare oceanico, e perfino la massa d’acqua degli oceani, in costante movimento, è suddivisa in strati di diversa formazione e composizione, riconoscibili anche decenni dopo che si sono formati e differenziati.

Oppure possiamo considerare il mare sotto il profilo della distribuzione della sua biodiversità. In alcune zone c’è l’equivalente del deserto, con pochissime forme di vita, mente in altre vi è un brulicare di specie. Aree popolate da specie aventi distribuzione globale si alternano ad aree dove molte specie sono endemiche, cioè uniche di quella località, e infinitamente più vulnerabili.

Infine, possiamo considerare il mare dal punto di vista della capacità umana di danneggiarlo, cioè dei livelli di minaccia, di contaminazione e di degrado quali la pesca, l’inquinamento e i cambiamenti climatici a cui l’ambiente è sottoposto.

Se sovrapponiamo questi differenti scenari vedremo che il mare è un caleidoscopio di diverse situazioni, che ci aiuteranno a capire meglio il suo stato di salute e considerare le medicine necessarie. Tra queste primeggiano le aree marine protette: parcelle di mare che abbiamo ritagliato dal planisfero perché più importanti, più ricche, pristine o delicate, e che cerchiamo di proteggere con regole speciali nell’attesa di imparare a gestire le nostre attività in maniera sostenibile anche nel resto del pianeta.

Le aree marine protette sono uno strumento importante di conservazione della natura, ma sarebbe un errore considerarle la panacea. Esistono situazioni in cui è molto più efficace agire diversamente, per esempio attuando regole e misure di gestione da applicarsi a prescindere da considerazioni territoriali. L’ideale è la sapiente combinazione tra i vari strumenti a disposizione. Infine, le aree marine protette vanno fatte funzionare con professionalità; troppo spesso, infatti, vengono istituite e poi lasciate sulla carta, con effetti negativi sulla loro credibilità. Oppure vengono imposte dall’alto senza aver prima conquistato alla causa le genti del luogo, che ne devono essere i più convinti difensori e protagonisti.

Infatti, in ultima analisi se il male è l’uomo, questo è al tempo stesso la medicina. La tutela dell’ambiente non solo deriva da precise volontà politiche, ma anche dalle azioni di tutti noi.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura n. 6/2007

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Cosa si può fare?
http://www.cetaceanalliance.org/wycd.htm