Il delfino morto in laguna di Venezia: un'agghiacciante bravata?
Trovato morto con un foro di proiettile sulla piccola spiaggia del "Bacan", frequentata, la domenica, dai diportisti: questa la tragica fine che ha fatto un delfino, trovato nella laguna di Venezia il 31 marzo scorso. Si tratta di un tursiope, praticamente l'unica specie che si trova in Adriatico - un adulto lungo poco meno di 3 metri. E se molto spesso è difficile o impossibile stabilire le cause della morte di un cetaceo spiaggiato, in questo caso la dinamica è apparsa chiara agli esperti del Museo di Storia Naturale di Venezia, che sono intervenuti al seguito del direttore Luca Mizzan. Un proiettile aveva forato scapola e polmone sinistro: un colpo solo, sparato non molto dall'alto rispetto all'animale. "Così preciso, farebbe pensare a un animale che nuotava lentamente lasciandosi avvicinare da una barca" dice Luca Mizzan. Oppure che si faceva spingere dall'onda di prua, nel qual caso la traiettoria del proiettile si spiegherebbe immaginando che l'animale si fosse girato di lato.
Mizzan ha estratto dal corpo dell'animale il proiettile, a punta conica, rivestito di rame, apparentemente di fucile, forse una carabina semiautomatica di precisione, del tipo utilizzato per la caccia al cinghiale o ai grandi ungulati. Sono, però, pure speculazioni che dovranno eventualmente essere confermate da un esame balistico.
"Il proiettile è penetrato meno di quel che ci si aspetterebbe da un'arma così potente, causando un foro d'entrata irregolare sulla scapola, specifica Mizzan. In questo caso il colpo potrebbe essere stato attenuato dallo strato d'acqua, se il delfino è stato colpito mentre nuotava a 50-100 centimetri sotto la superficie.
Dove può essere avvenuto il fatto? In laguna o in mare aperto? Il colpo non sembrerebbe essere stato immediatamente mortale, e oltre agli ultimi spostamenti dell'animale, possono aver contribuito le correnti trascinando l'animale. La ferita risale infatti a diverse settimane prima del ritrovamento, e il delfino era morto da almeno un mese, come ha stabilito proprio in questi giorni il gruppo di Sandro Mazzariol, veterinario dell'Univeristà di Padova che ha esaminato la carcassa. Sulla quale sono emerse anche tracce di un secondo sparo, probabilmente sempre da distanza ravvicinata. Altro particolare inquietante, la presenza di un residuo di cima legata intorno alla coda, segno che forse qualcuno ha cercato di occultare il cadavere.
Difficile avanzare ipotesi riguardo al luogo del fatto; da una parte, tenendo conto della corrente, che in alto Adriatico va in senso antiorario, il delfino potrebbe anche provenire dal golfo di Trieste o addirittura dalla Croazia; dall'altra Mazzariol sottolinea che difficilmente la carcassa poteva arrivare fin dentro la laguna solo sospinta dalla marea e dalle onde.
Per completare il quadro, in perfetto stile CSI, le autorità potrebbero ora indagare ulteriormente alla ricerca del colpevole: trattandosi di specie protetta è stata coinvolta la Capitaneria di porto e tutte le altre autorità del caso.
Mizzan termina con una sua personale riflessione: "Se un delfino disturba o si impiglia nelle reti, i pescatori qualche volta gli scaricano addosso quello che hanno, in genere un fucile a pallettoni, prendendolo un po' dove capita, come è successo con un tursiope ucciso due anni fa in Sardegna, a Golfo Aranci. Invece due colpi, precisi, sanno più di tiro al bersaglio. Senza contare che di norma nessun pescatore tiene in barca un fucile da caccia grossa, con cui rischierebbe sanzioni pesantissime, perlomeno in Italia. Sono - tiene a precisare - solo mie personali congetture - e spero di sbagliarmi, ma viene da pensare a una agghiacciante, deliberata bravata."
Un resoconto si trova anche sul sito del Museo di Storia Naturale di Venezia
Maddalena Jahoda
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