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Le vacanze sono quasi finite. Sono due settimane che giro con la mia famiglia in gommone nelle acque tra Kalamos, Itaca, Cefalonia e Zante. Stamattina partiamo da Atoko, un'imponente isola conica che si staglia maestosa in mezzo al mare, tra Itaca e Kastos. Non ho ancora incontrato delfini, a parte una stenella, incrociata apparentemente per caso sulla via di ritorno da Zante in mezzo alle onde che frangevano contro la prua della nostra barca. Il mare oggi è piatto: quella calma surreale, resa ovattata dalla foschia mattutina, che contraddistingue quasi tutte le prime ore delle giornate estive di questa zona.
Oggi sono a caccia di delfini. Non posso tornare a casa senza la mia dose annuale, dato che ormai li vedo solo in vacanza. L'anno scorso avvistammo un gruppo di tursiopi, vecchie conoscenze del progetto, a dir poco spettacolari per i loro salti e la curiosità che mostravano per il nostro gommone. Molto diversi come atteggiamento da quelli che mi ricordavo, generalmente restii a farsi avvicinare, perennemente intenti a cercare cibo nella colonna d'acqua, visibili solo quando venivano in superficie per ragioni fisiologiche.
Oggi ho proprio voglia di un incontro del genere, e strizzo gli occhi, in piedi a prua, per poter riconoscere anche il minimo segno che possa indicarmi la presenza di qualche animale. Il mare non sembra così tristemente deserto come negli ultimi anni. Ci sono banchi di pesce che saltano in giro e vedo un pesce spada che rincorre forse delle acciughe in superficie, scivolando via sotto il gommone. L'altro giorno ho visto anche quattro tonni cacciare le loro prede, parassitati dalle immancabili berte. Penso che sia la giornata giusta per vedere delfini.
E poi, tutto a un tratto, eccole in lontananza: due piccole pinne nere, seguite dalla sagoma arrotondata del dorso. Sembrano piccoli per essere tursiopi .... ma non è possibile. Non ci posso credere. Pragmaticamente, anzi .... ammetto - vergogna per uno scienziato! - quasi scaramanticamente, mi avvicino senza preconcetti. E invece sono proprio loro. Il mio è un urlo di entusiasmo, gioia allo stato puro: sono delfini comuni! E sono tanti, tredici in tutto. E sono accompagnati dai piccoli, tre di cui uno neonato. E un paio di
giovani. È un bellissimo gruppo di femmine con pargoli che, con aria indolente, nuota a zig-zag tra Kalamos e Meganisi.
Da quanto tempo non li vedo? Faccio due calcoli veloci e realizzo con orrore che sono dieci anni esatti. L'ultima volta ero incinta all'ottavo mese e raccoglievamo frammenti di tessuto dalla pelle di animali identificati per le analisi genetiche. Quella era stata l'ultima volta in cui li avevo visti. Poi ho lasciato il lavoro di campo per motivi famigliari e, mentre gli anni passavano, leggevo con tristezza i dati raccolti dai miei colleghi che, con scientifica e fredda lucidità, mostravano il declino lento e inesorabile di questa popolazione locale, una volta così florida e ora invece rappresentata da pochi e sparuti esemplari.
Negli anni, girando con i miei figli in queste acque impoverite da una pesca dissennata spesso condotta con metodi illegali, senza riuscire a vedere la sagoma inconfondibile di un delfino comune, pensavo a quando nel lontano 1991 avvistammo per la prima volta questi animali dalla tuga del De Gomera (la barca a vela usata nei primi anni). Un gruppo immenso di una quarantina di individui che nuotavano velocissimi facendo porpoising tra Lefkas e Meganisi, uno stretto canale letteralmente infestato da barche a vela e motore, molto più simile a uno scorcio del basso Lario piuttosto che ai noti panorami ellenici.
Erano così tanti che inizialmente avevo creduto fossero stenelle (ma che ci facevano in acque così costiere?), e la mia sorpresa raggiunse il suo apice quando invece realizzai che erano delfini comuni, una specie che già a quei tempi era considerata una rarità in tutte le acque italiane.
Per anni la situazione non era cambiata. Noi eravamo passati da una barca a vela a un più pratico gommone con una base di ricerca situata esattamente al centro della nostra area di studio, a Episkopi sull'isola di Kalamos. I gruppi di comuni continuavano a essere numerosi, almeno fino al 96-97. La loro presenza era costante, regolare e prevedibile. Li vedevamo da casa, dal porto; persino quando a piedi andavamo a riempire le taniche di benzina (sì, a quei tempi avevamo pochi soldi, un gommone a dir poco ridicolo e la nostra ricerca era costellata da svariati intermezzi in puro stile "lavori forzati").
I delfini comuni erano la nostra certezza, il nostro orgoglio di ricercatori. Ci rendevamo conto di avere a che fare con, probabilmente, l'unica comunità numerosa di questa specie rimasta nel Mediterraneo centrale. Ci sentivamo caricati della responsabilità di studiarli a fondo per capire, attraverso loro, quali fossero state le cause del declino della specie in altre zone del Mediterraneo, affinchė in futuro altre perdite simili non si verificassero nuovamente.
Dopo il 97, pur vedendoli continuamente (quasi tutti i giorni), i gruppi hanno cominciato ad essere meno numerosi. Inizialmente credo che nessuno di noi avesse realizzato veramente l'entità del processo ormai in atto. Immaginavamo che sì, probabilmente, c'era un po' meno pesce, ma loro erano sempre lì, così come altri predatori che si nutrono delle loro stesse prede, tonni e pesci spada. In un certo senso noi, che passavamo anche otto ore consecutive sotto il sole greco a registrarne movimenti, comportamento e identità, eravamo quasi contenti di dover fotoidentificare "solo" sei-dieci delfini per volta invece che una massa incontrollabile di 20-30 animali apparentemente impegnati a giocare a nascondino!
E invece qualcosa stava accadendo davanti ai nostri occhi. Gli anni passavano e capitava sempre più spesso di vedere scorrere i giorni senza neanche un avvistamento di comuni. Nel frattempo, come ho detto, io avevo lasciato il lavoro di campo e seguivo al computer, attraverso colonne interminabili di numeri, il piccolo (grande?) dramma che si stava svolgendo in quel poligono delimitato dalle isole ioniche. Ormai anche qui i delfini comuni erano diventati una rarità, come accaduto in Italia cinquant'anni prima. Dei 150 noti che abitavano regolarmente la zona, negli utlimi anni riuscivamo a registrarne solo una decina, durante soltanto due o tre avvistamenti nei quattro mesi estivi. Il mare lentamente diventava un deserto desolato. Terminati anche gli avvistamenti di tonni, di pesci spada, di banchi di acciughe, palamite e ricciole.
Per più di un anno i miei colleghi hanno monitorato i principali porti di pescherecci della zona. Con una pazienza certosina hanno controllato ogni mese quanto pesce veniva scaricato dalle barche, quantificandolo in tonnellate pescate all'anno. I risultati del loro lavoro hanno dell'incredibile. A causa di soli 21 grossi pesherecci (rappresentano il 7% dell’intera flotta di pescherecci e sbarcano il 55% della biomassa totale pescata), l'intera zona è stata letterlamente depredata per anni di acciughe e sardine, le prede principali di delfini comuni, tonni e pesci spada. In pratica, anno dopo anno, queste barche hanno prelevato tutto (o quasi tutto) poteva produrre quella zona in termini di pesce, lasciando solo qualche "briciola" agli altri abitanti del mare.
Le conseguenze sono ovvie. I delfini hanno semplicemente smesso di stare lì, e si sono dispersi su aree maggiori, cercando il cibo sempre più spesso da altre parti. Tralasciando le implicazioni eco-biologiche (cosa può succedere a degli animali spiccatamente sociali, per i quali la coesione di gruppo è necessaria quanto il cibo di cui si nutrono, nel momento in cui sono costretti a disperdersi, disaggregarsi e quindi diminuire in termini di qualità e quantità le loro relazioni, e in ultima analisi la possibilità di accoppiarsi?), il risultato è stato deprimente. Navigare in queste acque sembra di passare per quelle campagne inaridite dal passaggio della civiltà urbana e industriale. La biodiversità si è drasticamente ridotta a poche e persistenti specie marine che si ingrassano grazie ai mangimi e nutrienti riversati giornalmente dai sempre più numerosi allevamenti di pesce.
Tornando alla calda giornata di oggi è quindi comprensibile il mio entusiasmo, quasi puerile, nell'aver visto un gruppo così numeroso di delfini comuni. Quest'estate Joan (Gonzalvo, attuale responsabile dell’Ionian Dolphin Project) aveva avvistato i comuni solo una volta, a giugno, ed erano tre animali. Oggi ce ne sono di più e ci sono i piccoli. Non sono per niente socievoli (è vero, ci sono mamme attente e preoccupate per la loro prole, che costantemente mi tengono alla larga), non sembra stiano mangiando, bensì riposando. Non vengono a prua a fare bow-riding o scouting. Anche i giovani, generalmente i più impavidi, mantengono le distanze dalla nostra barca. Quando passa un motoscafo, il wave-riding che fanno nelle onde della scia sembra vagamente stanco e pigro.
Ma tutto sommato loro sono qui. E c'è del pesce in giro. E ci sono altri predatori. E la speranza che un giorno queste meravigliose creature - quasi degli amici visto che ciascuno ha un nome, Pepe, Dafne, Nigel, Max, e una data per ogni incontro - possano tornare a ripopolare i mari della Grecia Ionica, a stupirci con i loro comportamenti affascinanti, questa speranza oggi è un po' più viva di prima. La strada per mettere in atto efficacemente le misure di conservazione che da anni Tethys e altri colleghi testardamente promuovono è sicuramente ancora lunga. Basterebbe poco per dare la possibilità a questi delfini di riprendersi ai livelli di una volta. Però parlando in giro con giovani greci, ho avuto l’impressione che il futuro possa regalarci quella speranza che alla fine è veramente dura a morire.
P.S. Il giorno dopo l'incontro con i comuni, poche miglia più a sud abbiamo incontrato un gruppo di nove stenelle. Stenelle che Joan aveva visto anche dieci giorni prima nella stessa zona. Due giorni dopo Joan mi ha riferito che sempre in quella zona ha rivisto i comuni. Questa volta erano 15: gli stessi individui che avevo incontrato più alcuni altri. Che tutto questo sia veramente un segnale di ripresa dell’ ecosistema marino costiero in Grecia Ionica?
Elena Politi
Direttore Ionian Dolphin Project 1991-2001