Caccia alle balene: perché occorre fermare questo massacro
La caccia commerciale alle balene viene ancora praticata da pochi paesi - Giappone, Norvegia, Islanda – un fatto che disturba fortemente la sensibilità di gran parte dell’opinione pubblica mondiale, non solo in Europa e in Nord America ma anche in Sud America, Sud Africa, India, Australia e Nuova Zelanda. Si potrà obiettare che in tutto il mondo ogni anno miliardi di animali vengono macellati per fornire alimento agli esseri umani: perché le balene dovrebbero essere diverse? In realtà è giusto opporsi alla caccia commerciale alle balene, per tre motivi principali.
1. La caccia alla balena mette a rischio le popolazioni che ne sono il bersaglio. Malgrado in questo momento la specie maggiormente cacciata sia la balenottera minore, con popolazioni ancora relativamente abbondanti, tutti i cetacei sono già fortemente minacciati dal deterioramento delle condizioni degli oceani, in primo luogo i cambiamenti climatici che minacciano il crollo della loro produttività.
2. Tuttavia, ammettiamo per un momento che essa non costituisca un rischio per la biodiversità marina (cosa che non è): la caccia alla balena è crudele. Le operazioni avvengono in mare, in condizioni non controllabili né controllate, che non garantiscono gli standard prescritti nella macellazione degli animali di allevamento nei nostri mattatoi, in cui è possibile (e obbligatorio) uccidere senza causare sofferenza. L’agonia di una balena colpita dall’arpione esplosivo può durare anche ore.
3. Tuttavia, ipotizziamo per un istante che le operazioni possano un giorno essere condotte in maniera accettabile sotto il profilo del welfare: la caccia alla balena è inutile. Lungi dall’alleviare la fame di popolazioni indigenti, il commercio di carne di balena serve solo ad arricchire il portafoglio di un ristretto gruppo di persone fornendo una “delicatezza” ai pochi che se la possono permettere, in ristoranti specializzati in carne di balena in Giappone. Al contrario, la caccia alla balena è in conflitto con l’attività assai più benevola di “sfruttamento” delle balene, il whale watching, oggi in crescente popolarità anche il Giappone, Norvegia e Islanda. È stato detto più volte che una balena vale molto più da viva che da morta; il problema è che il valore della balena viva non contribuisce al portafoglio di quelli che la vogliono morta, e che sono quelli che hanno accesso alla stanza dei bottoni.
Dunque la caccia alle balene è rischiosa, crudele e inutile. Quali altre giustificazioni occorrono per farla smettere?
A regolare la caccia alle balene è una Convenzione (Washington, 1948) ed esiste una Commissione (IWC, International Whaling Commission) che si riunisce ogni anno e ne gestisce le attività. Della IWC fanno parte 78 paesi, tra cui l’Italia. Nella IWC ci sarebbe una maggioranza schiacciante contro la baleneria se non fosse che il Giappone continua ad acquistare voti tra piccoli paesi in via di sviluppo, sia mediante promessa di aiuti economici sia mediante “incentivi economici” mirati. Poiché il voto di un’isola-stato come Antigua e Barbuda conta quanto quello degli Stati Uniti, i numeri delle due fazioni in seno alla IWC sono più o meno pari, fino a oggi con una leggera maggioranza anti-baleneria.
A tutt’oggi, dal 1986, ci troviamo in regime di moratoria alla caccia commerciale alle balene. Tuttavia Norvegia e Islanda hanno fatto obiezione all’adozione della moratoria per cui non vi sono tenute. Il Giappone non ha potuto fare obiezione sotto pressione degli USA, ma utilizza l’Art. 8 della Convenzione per cacciare. Tale articolo consente ai paesi membri di auto-attribuirsi quote di caccia per motivi scientifici, senza limiti né di numero né di specie. Il Comitato Scientifico della IWC ha ripetutamente stigmatizzato il Giappone per l’inconsistenza scientifica dell’iniziativa, ma il Giappone non è tenuto a seguire i consigli del Comitato Scientifico. Peggio ancora, il Giappone caccia nel Santuario dell’oceano australe perché al momento dell’adozione di tale Santuario da parte della IWC vi ha fatto obiezione, per cui non lo riconosce.
Su queste basi, pur in regine di moratoria, nell’ultima stagione (2006-2007) sono state uccise in tutto il mondo quasi 1900 balene. La caccia alla balena – oggi unicamente condotta per la produzione di carne per consumo umano – è in passivo. Il massimo consumo avviene in Giappone ma nemmeno il pubblico giapponese sembra interessato, e non ama la carne di balena, decisamente inferiore a quella bovina. Per cui vi è una sovrabbondanza di carne che è stata anche utilizzata per fare cibo per cani e gatti.
La caccia alla balena in Giappone è promossa da una lobby industriale che ha il potere di ottenere l’appoggio del governo. L’obiettivo di questo gruppo di interesse è di tener duro fino a quando una liberalizzazione della caccia e la fine della moratoria consentirà di mettere sul mercato grandi quantità di carne a prezzo inferiore a quello attuale (molto alto), con probabili enormi margini di profitto. La strategia utilizzata dal gruppo comprende a) disinformazione: il pubblico giapponese non sa quali sono i motivi per cui il mondo critica il Giappone, perché non ha accesso a informazione che non sia controllata dalla lobby; b) sentimenti nazionalistici avversi ad atteggiamenti che, in mancanza della corretta informazione, vengono percepiti come una forma di imperialismo culturale; c) diffusione di “verità” fabbricate: “le balene sono una minaccia alla sicurezza alimentare globale perché consumano troppo pesce, sottraendolo all’umanità”. Tale asserzione, che tocca un nervo scoperto in molti paesi in via di sviluppo dove l’alimento non è una certezza, è totalmente priva di fondamento scientifico.
Giuseppe Notarbartolo di Sciara
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Foto: Australian Custom Service
Articolo tratto da Rivista della Natura n. 3/2008
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