23 December 2008

A caccia di balenieri


Ho trascorso centinaia di ore a scrutare il mare alla ricerca di un soffio all'orizzonte, di una pinna falcata o di un lucido dorso grigio. E ogni volta che, finalmente, si palesava la familiare sagoma di una balenottera o di un branco di delfini, portava con sé un'emozione profonda, mista al rispetto per animali meravigliosi. Dall'altra parte del globo, in Antartide, ci sono persone che in questo preciso istante fanno lo stesso, pattugliano il mare nella speranza che una balena emerga alla superficie, ma con scopi ben diversi: con l'intenzione di uccidere. Questo pensiero mi risulta intollerabile.

Per questo, quando mi hanno proposto di tradurre "The Whale Warriors", un libro del giornalista americano Peter Heller, ho accettato subito (anche se avevo promesso a me stessa che non avrei più fatto traduzioni impegnative). Mi occupo di ricerca scientifica sulle balenottere del Mediterraneo da oltre 20 anni, e queste ricerche hanno un unico scopo: conoscere meglio i cetacei per poterli tutelare. Perché di una cosa si rendono conto coloro che si intendono di mammiferi marini: questi esseri enormi sono terribilmente fragili. Oggi basta un traghetto superveloce a uccidere un cetaceo di oltre 20 metri; una rete da pesca per far affogare un capodoglio, e con ogni probabilità basta una minima variazione nell'equilibrio ambientale perché la piccola, preziosa popolazione mediterranea di balenottera comune muoia di fame. Per questo il lavoro del cetologo ha due aspetti: raccogliere dati scientifici da una parte, e raccontare quello che si viene a sapere al pubblico, perché faccia pressione su politici e amministratori per delle azioni di salvaguardia.

Per quanto riguarda i giornali, delle balene si parla abbastanza spesso; in aggiunta a tutte le minacce di cui sopra, la ripresa della caccia, puntualmente ogni inverno, fa spesso notizia - sul momento - per poi finire di nuovo accantonata fino all'anno seguente. Ma mentre quotidiani e periodici si limitano perlopiù a riportare le agenzie di stampa, Peter Heller fa una cosa ormai molto rara: va a vedere di persona. E come i cronisti di guerra, rischia la vita per descrivere un campo di battaglia, quello della baleneria, spingendosi in un posto che dire remoto è poco; tanto è vero che a un certo punto si rende conto che nella vastità dell'oceano antartico, la barca che sta cercando di proteggere le balene, è praticamente sola - in tutti i sensi.

E non è l'unica situazione paradossale. Oggi la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo è contrario alla caccia baleniera o non ha alcun interesse, eppure l'organismo internazionale che ogni anno decide in materia non è in grado di bloccare il massacro. Praticamente un solo Paese guadagna con la carne di cetaceo, ed è il Giappone (e in minor misura la Norvegia e l'Islanda); ma grazie a facili scappatoie può di fatto sfruttare senza scrupoli e in maniera totalmente miope quello che è patrimonio dell'intera umanità. Senza contare che, dal punto di vista prettamente economico, una balena oggi vale più da viva che da morta, se si considera il giro di interessi del whale-watching, la visitazione "turistica" dei cetacei. Quindi oggi c'è, da una parte, chi si scervella su come avvicinare gli animali senza arrecare disturbo, né distoglierli dalle loro attività, e dall'altra chi li massacra senza il minimo scrupolo, con una tecnica tra le più brutali al mondo.

Uccidere una balena di svariate decine di tonnellate è infatti un'impresa tra le più difficili e cruente. Ma Heller resiste alla tentazione di illustrare scene di violenza ad effetto - addirittura fin dall'inizio teme di dover assistere a sanguinosi massacri; la drammaticità della situazione ci viene invece comunicata in maniera molto più sottile, intessuta nella descrizione del variopinto equipaggio della Farley Mowat, così come traspare dalle motivazioni dei pittoreschi personaggi, a metà tra follia e idealismo, e dal coraggio e dall'incoscienza dell'improbabile (ma reale) comandante Paul Watson.

Il libro di Heller si legge come un racconto di avventura, ambientato in posti dove la maggior parte di noi non andrà mai. Ma pur conservando tutto il sapore dei resoconti di viaggio di un tempo, si tratta di una battaglia per niente "lontana" né legata al passato, ma che si ripete ogni anno, e si può seguire "in diretta". Mentre traducevo le vicende dell'inverno 2005-2006, sui siti Internet di Sea Shepherd e Greenpeace, passava in tempo reale la "versione" dell'anno seguente; e ora, proprio in questi giorni, chiunque può fare altrettanto seguendo la nave di Sea Shepherd che ha da poco intercettato i giapponesi (http://www.seashepherd.org/operation-musashi/): un'avventura che l'anno scorso sfiorò la tragedia quando i balenieri aprirono il fuoco contro Paul Watson (provvidenzialmente protetto da un giubbotto antiproiettile).

Heller conclude il suo libro nel momento dell'annuncio da parte dei giapponesi, che l'anno seguente anche cinquanta megattere, una specie considerata in pericolo e protetta nel resto del mondo, sarebbero entrate nel mirino. Questo avveniva un anno fa. Ma come sappiamo, poi, per la prima volta, i nipponici fecero marcia indietro di fronte all'indignazione internazionale. Il giorno in cui fu data la notizia sui giornali, qualcuno, sapendo che mi occupo di cetacei, si rallegrò con me. La gente ne aveva forse ricavato l'impressione che la caccia fosse sul punto di finire. Ma purtroppo non è così. Il perché, Heller ce lo spiega sia "toccando con mano" la baleneria moderna, sia sviscerando i perversi meccanismi che ne stanno alla base. E lo fa non da ambientalista militante, ma con l'obiettività e l'equidistanza del giornalista anglosassone. Salvo, alla fine, lasciarsi forse conquistare dalla causa, tanto è vero che l'edizione italiana è corredata di una postfazione dell'autore in cui descrive quello che fece dopo essere tornato dall'Antartide: andò a manifestare contro il massacro dei delfini a Taiji, in Giappone, introducendosi di nascosto, nella baia "della morte".

Se un giorno, finalmente, le mostruose navi-fabbrica giapponesi non salperanno più, sarà forse un po' anche merito di questo libro. Nel frattempo, purtroppo, continua ogni anno la routine dei balenieri, che paradossalmente assomiglia a quella dei ricercatori e dei whale-watcher. Avvistato qualcosa all'orizzonte, entrambi preparano l'attrezzatura: macchine fotografiche da una parte, arpioni esplosivi dall'altra.

Dopo aver tradotto i "Guerrieri delle balene", non riesco a non pensarci, ogni volta che guardo in mare alla ricerca di un soffio all'orizzonte.

Maddalena Jahoda

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Peter Heller. I guerrieri delle balene: La battaglia per salvare i più grandi mammiferi della Terra. Casa Editrice Corbaccio, Milano. 352 pp. (Traduzione di Maddalena Jahoda)

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