06 May 2010

Caccia alle foche


Ogni anno, alla fine dell'inverno, si apre sui ghiacci atlantici del Canada la caccia alle foche. Si tratta oggi di uno dei più imponenti massacri sistematici di mammiferi selvatici: la quota annuale consentita dal governo canadese si aggira sui 300.000 esemplari di foche di Groenlandia - in inglese harp seals per il disegno sul mantello dell'adulto che assomiglia a un'arpa. L'oggetto della caccia sono i piccoli, cuccioletti di 2-9 settimane, per il loro pelo bianco e soffice. Sono scene crudissime quelle che ci arrivano dalla banchisa canadese, immortalate da gruppi animalisti per denunciarne la nefandezza e sollevare la pubblica opinione globale; riuscendoci in gran parte, visto che di recente il Parlamento europeo ha votato il bando dell'importazione di pelli di foca, e così facendo ne ha eliminato il principale mercato.

Il governo canadese difende con veemenza i cacciatori di foche, sostenendo che l'attività non è crudele, che è condotta in maniera sostenibile, e che è correttamente regolata. La difesa fa acqua da tutte le parti. In primo luogo per l'inequivocabile crudeltà delle operazioni, con i cacciatori che semi-stordiscono i cuccioli a bastonate per rammassarne il più possibile, e poi spesso iniziano a scorticarli quando sono ancora vivi per fare più in fretta. Il secondo mito facilmente sfatabile è quello della sostenibilità. Uno studio indipendente condotto alcuni anni fa avverte che con l'attuale sistema di quote concesse dal governo la popolazione rischia un declino del 50-70% nei prossimi 15 anni. Tutto ciò senza tener conto del riscaldamento globale, che sta riducendo a vista d'occhio la superficie ghiacciata della zona, habitat obbligatorio per le foche nei loro primi mesi di vita. Quest'anno le condizioni della banchisa - le peggiori negli ultimi 41, da quando è iniziato il monitoraggio sistematico - sono particolarmente disastrose per i cuccioli di foca, che a quest'età non possono entrare in acqua e in assenza di ghiaccio sono confinati entro limitate superfici costiere. Infine, sostenere che la caccia è ben regolata sconfina nel ridicolo se è vero che i controlli sono effettuati da un massimo di una dozzina di agenti su alcune migliaia di cacciatori sparpagliati su un territorio vastissimo; di tale inefficienza è prova il fatto che la quota viene ecceduta quasi sempre, e senza alcuna conseguenza legale.

Dunque un prodotto voluttuario, per nulla insostituibile come la pelliccia di foca viene commercializzato mediante pratiche inaccettabilmente crudeli e quasi sicuramente insostenibili. Non dovrebbe far meraviglia che il governo debba fare di continuo ricorso ad argomentazioni non veritiere per difendere l'occupazione nell'elettorato di quelle zone. Più meraviglia desta invece la posizione di testate solitamente autorevoli come l'Economist che difendono la pratica della caccia alle foche accusando gli europei di ipocrisia. Qui in Europa tuoniamo contro la strage delle piccole foche - sentenzia il settimanale britannico - mentre facciamo finta di non vedere i 30 milioni di visoni e volpi di allevamento sacrificati da noi ogni anno, anch'essi per la loro pelliccia, e il milione tra bovini, suini e ovini che ogni giorno, facendo ingresso senza ritorno in un mattatoio europeo terrorizzati, malmenati e maneggiati con incompetenza, fanno spesso una fine che non è priva di sofferenza, come la legge invece vorrebbe. Verissimo. Tuttavia, se la gestione ordinaria di molti mattatoi europei è uno sconcio, la soluzione giusta non è quella di passar sopra tanto sulle travi nei nostri occhi quanto sulle pagliuzze in quelli dei fratelli canadesi. Se macellare senza sofferenza si può, facciamo in modo che ciò avvenga, e lasciamo alle foche (e perché no, anche a visoni e volpi) la loro pelliccia, di cui possiamo fare benissimo a meno.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura 3/2010

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