Non un delfino... quel delfino
Trovarsi in mare in compagnia di un gruppo di delfini è sicuramente un'emozione esaltante, ma ancora più bello è poterli percepire come singoli individui e non come informe combriccola.
All'inizio di un avvistamento in mare siamo sempre un po' agitati e confusi. Presi dalla strumentazione e concentrati sui dati da raccogliere, guardiamo questi animali con l'unico obiettivo di non perderli di vista. A volte si stenta a capire quanti delfini ci sono, dove sono, ma poi lo smarrimento passa e ci si concentra totalmente su di loro.
L'insieme sfocato di tanti delfini si fa più nitido, l'occhio inizia a soffermarsi su piccole differenze nella forma della pinna o su cicatrici e altri segni sul corpo di questi animali... ed è a quel punto che scatta la magia. Non sono più anonimi delfini: ogni pinna dorsale ci ricorda un nome, a volte persino una storia o una spiccata personalità.
Il gruppo è compatto e emerge in sincronia per respirare. A ciascuna emersione l'occhio accarezza i profili delle pinne e la mente elabora automaticamente le informazioni: ecco Dustin, quello è Indio, laggiù Lara con il suo piccolo, e c'è anche il cucciolo di Atena. Il fotografo cerca di catturare immagini utili per l’identificazione e grazie a queste foto, una volta rientrati alla base, la magia può continuare.
Dal gommone siamo catapultati in un ufficio, seduti davanti al computer per analizzare le molte migliaia di foto che ogni anno vengono scattate in mare. Seleziona, scarta, elimina, taglia, ingrandisci, rinomina, confronta, controlla e classifica... quanto lavoro! Ma a fronte di tante ore trascorse a confrontare pinne, il quadro che ne emerge è sensazionale.
E' infatti incredibile come da semplici fotografie si possa ottenere una rappresentazione “intima” della popolazione che si sta studiando. Gobba e Atena sono al loro quarto piccolo, Gobba è anche diventata nonna, Spiti è sopravvissuto alla completa mutilazione della pinna dorsale, a Pub e a Lara piace cercar cibo vicino agli allevamenti ittici, Ari è la baby-sitter del gruppo, Ronco e Morgana ultimamente non si fanno vedere, Meganisi è ritornato dopo quattro anni di assenza.
Con anni di foto-identificazione e un po’ di esperienza si può stimare la taglia della popolazione, valutare eventuali aumenti o diminuzioni nel numero di animali, determinare il loro sesso, misurare il tasso e il successo riproduttivo. Si possono anche individuare le associazioni preferite, sapere chi sono i due “migliori amici” e chi è il delfino più solitario. Possiamo perfino utilizzare degli strumenti GIS per studiare la preferenza di determinate aree da parte di singoli individui, o osservare i loro spostamenti da un anno all’altro. Grazie a queste e altre informazioni, alla fine, si arriva a comprendere meglio l’ecologia degli animali e a capire quali problemi li affliggono.
Trascorrendo lunghe ore a confrontare pinne, è quasi inevitabile affezionarsi ai loro “proprietari”. Questi delfini che tanto ci sforziamo di studiare alla fine li sentiamo amici, ed ecco che il lavoro si arricchisce di una forte motivazione personale. Vorremmo dare un futuro ai nostri amici, a quegli animali che dopo anni riconosciamo al primo sguardo come facciamo tra noi umani. Il desiderio per le persone o gli animali a noi più vicini è di sapere che stanno bene, e alla fine questo vale anche per i nostri delfini. Come sarebbe bello se Zoi sopravvivesse alla rete che gli si è impigliata intorno al muso! Se Lady riuscisse a liberarsi dalla lenza che le ferisce le carni!
Quando si scopre che tutte le creature sono in effetti singoli individui con le loro storie e le loro sofferenze, e non indistinte pinne dorsali, le vediamo sotto una luce diversa.
Silvia Bonizzoni
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