25 June 2009

Il whale watching batte la caccia


In questi giorni l’IFAW (International Fund for Animal Welfare) ha reso noti i risultati di uno studio sul giro d’affari del whale watching. Nel 2008 più di 13 milioni di persone in 119 paesi hanno scelto di fare questa esperienza durante le loro vacanze, per un fatturato stimato in 2 miliardi di dollari, il doppio rispetto al 2004. Chi sceglie di viaggiare e conoscere il mondo sceglie sempre di più il whale watching, tanto che nei giorni scorsi è stata avanzata una proposta.

Il cuore della questione è che, secondo molti esperti, la commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC, International Whaling Commission) dovrebbe cambiare nome in commissione internazionale per le balene (International Whale Commission). Non sarebbe solo una questione di linguaggio ma un cambiamento sostanziale delle finalità di un'organizzazione che, quando nacque nel 1946, aveva l’obiettivo di regolamentare l’attività di caccia delle balene in modo da garantire che le popolazioni di questi animali non venissero sfruttate eccessivamente. Fu una delle prime operazioni di gestione internazionale delle risorse degli oceani, alla quale aderì anche l’Italia. Fino alla prima metà del novecento la vendita di carne, grasso e olio di balena ha trainato l’economia di molte popolazioni costiere in tutto il mondo, poi le balene sono diventate sempre di meno e alcune specie, come la balenottera azzurra, sono state cacciate quasi fino all’estinzione. Complice l’utilizzo di navi sempre più veloci e di moderni arpioni esplosivi. Nel 1986 è stata ratificata la moratoria internazionale sulla caccia che Giappone, Norvegia e Islanda non hanno mai rispettato, nascondendosi dietro a pretestuosi scopi di ricerca scientifica. Solo un cambiamento sostanziale delle finalità della commissione internazionale (e quindi del suo nome) potrà cambiare il destino di questi animali e rendere la baleneria un’attività illegale in tutti gli oceani.

Mauro Colla

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