10 January 2009

Aree Marine Protette


Una nave senza timone... va a scogli. Così accade ai santuari di biodiversità, se dopo l’istituzione non sono gestiti.

Nella cassetta degli attrezzi di chi si occupa di tutela del mare, le aree marine protette (AMP) occupano un ruolo di primo piano, anche se non l’unico. I Paesi del Mediterraneo – soprattutto Spagna, Italia e Francia, ma anche Israele e Turchia – hanno fatto grande uso di AMP per tutelare i loro ambienti marini più importanti, ricchi di biodiversità e vulnerabili.

Creare e gestire AMP in maniera efficace non è facile, perché l’impresa richiede esperienza, dedizione e considerevole impegno di risorse umane e finanziarie. Ciononostante, in moltissimi casi il gioco vale la candela.

Tanti sono gli ingredienti necessari al successo di una AMP, ma due sono più importanti degli altri. Il primo è il consenso. Se si cerca di istituire un’AMP andando in contropelo alla gente del luogo, si fa dieci volte la fatica con un decimo del risultato. Nell’ultimo decennio è andata via via affermandosi la consapevolezza che un’AMP può portare considerevoli vantaggi locali, per cui oggi è possibile assicurare, non solo il favore, ma anche il coinvolgimento dei diretti interessati nel progetto di tutela; i quali ne dovrebbero essere, idealmente, i protagonisti. Al contrario, anni fa le AMP erano viste dai locali come una prevaricazione e una mal tollerata imposizione di vincoli da parte dello Stato, ed erano botte da orbi a tutto scapito della tutela del mare.

Dunque, occorre che vi sia una convergenza, un bilanciamento tra l’azione dall’alto (top-down) dei poteri centrali, che conferiscano all’AMP la corretta collocazione giuridica e la necessaria stabilità istituzionale, e quella dal basso (bottom-up), che assicuri che il provvedimento sia localmente sentito, desiderato e mantenuto nel tempo. Risultato ottenibile solo mediante una combinazione tra una paziente azione di sensibilizzazione ed educazione e fatti concreti.

Il secondo ingrediente essenziale è che l’AMP deve essere gestita. Scriveva Randall R. Reeves, grande esperto di conservazione dei mammiferi marini, che un’area protetta senza piano di gestione è come una nave senza timone. Sembrerebbe cosa ovvia, ma la realtà è che delle oltre 100 AMP censite in Mediterraneo soltanto il 40% ha oggi un piano di gestione approvato e in fase di attuazione. Questo significa che gran parte delle AMP istituite in Mediterraneo non protegge un bel niente, se non sulla carta.

In realtà è impensabile che qualsiasi organismo possa svolgere un ruolo delicato come quello di una AMP senza un direttore, uno staff, delle strutture, i necessari poteri e un minimo di risorse umane e finanziarie. Solo con questi mezzi sarà possibile formulare un piano di gestione che fissi degli obiettivi, delinei le azioni necessarie a raggiungerli e identifichi degli indicatori con cui periodicamente misurare l’efficacia delle azioni e il raggiungimento degli obiettivi – come ormai si fa di routine in tutte le aree protette del mondo degne di tal nome.

Un esempio tra tutti ce lo fornisce il Santuario Pelagos per i cetacei, istituito nel 1999 da un trattato tra Italia, Francia e Monaco. Pelagos potrebbe essere, e speriamo sarà, una straordinaria occasione di innovazione nel campo della tutela ambientale marina, sotto il profilo giuridico, scientifico e di comunicazione. Gode perfino di una decorosa dotazione economica grazie ai fondi stanziati dal Parlamento italiano nella legge di ratifica. Tuttavia, le complesse funzioni di gestione sopra citate non possono essere svolte semplicemente dal Segretario del trattato, per quanto grande possa essere la sua buona volontà. Il rischio reale a cui stiamo andando incontro per questa carenza di governance è che Pelagos perda la sua credibilità e che la nave senza timone vada a finire sugli scogli facendo più danni che se non fosse mai esistita.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura n. 1/2008

Foto: Marina Costa / Tethys

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