05 January 2009

Una scomoda verità


I rumori prodotti dall’uomo a scopi economici e militari uccidono la fauna più sensibile

Molti ritengono il mare il mondo del silenzio, ma non è così. Il suono si propaga sotto la superficie in modo più efficiente e veloce che nell’aria, e su distanze ben maggiori. Non deve dunque meravigliare che suoni e rumori sott’acqua siano, più che l’eccezione, la norma.

Alcuni di questi sono di fonte naturale, come la pioggia, i frangenti sospinti dal vento, i movimenti dei ghiacci, i terremoti e i suoni emessi da una varietà di animali marini. Altri suoni sono prodotti dalle attività umane, divenuti negli ultimi decenni talmente intensi e ubiquitari da costituire oggi la frazione di gran lunga più importante del totale del rumore subacqueo. Per esempio, il suono possente e di bassa frequenza prodotto dalla cavitazione dell’elica si propaga per un raggio talvolta di centinaia di chilometri intorno alla nave che lo produce, e in zone di traffico intenso come il Mediterraneo costituisce un onnipresente, fastidioso sottofondo. Questa condizione riduce fortemente le distanze alle quali i cetacei, soprattutto le grandi balenottere, possono comunicare tra loro, con conseguenze per ora inesplorate sulla loro vita sociale.

Purtroppo i problemi non si fermano al fastidio: vi sono rumori prodotti dall’uomo che possono anche uccidere. Nel maggio 1996 tredici esemplari di zifio, un cetaceo di medie dimensioni non raro in Mediterraneo, finirono morti o morenti sulle spiagge della costa occidentale del Peloponneso, in Grecia, in concomitanza con una esercitazione Nato in cui venivano sperimentati nuovi tipi di sonar a bassa e media frequenza.

Queste apparecchiature necessarie per l’individuazione di sommergibili nemici divennero successivamente di uso comune in molte marine militari, per cui simili episodi si verificarono con crescente frequenza in molte altre parti del mondo: diciassette esemplari di cetacei morirono alle Bahamas nel marzo 2000, dodici nelle acque delle Canarie nel settembre 2002 e altri tre nel luglio 2004 sempre alle Canarie, tanto per citarne solo alcuni; tutti eventi precisamente collegabili con esercitazioni navali. L’entità del fenomeno è sicuramente molto più imponente di quanto non facciano supporre i limitati episodi fortuitamente approdati all’onore della cronaca e dell’indagine scientifica.

Non è ancora chiaro quali siano i meccanismi fisiologici responsabili di eventi tanto drammatici. Per alcuni studiosi non si può escludere l’effetto diretto sui tessuti degli animali delle vibrazioni ad alta energia prodotte dai sonar. Tuttavia, l’ipotesi più verosimile è che il suono abbia il potere di mandare nel panico gli animali nel corso delle loro profonde immersioni, inducendoli a emergere in fretta e senza seguire le procedure adeguate. Infatti, le necroscopie effettuate sugli animali spiaggiati hanno rivelato massicci fenomeni di embolia, fino ad allora sconosciuti tra i cetacei.

Ma non sono solo i militari a produrre rumori subacquei ad alta intensità, capaci di arrecare danni alla vita marina. Attività costruttive disseminate lungo l’intero sviluppo delle coste del Mediterraneo possono generare rumori alquanto nocivi per molti animali marini come i cetacei. Per esempio, i recenti lavori di costruzione di un frangiflutti a protezione del porto di Montecarlo, appoggiato su pali infissi nel fondo mediante percussione, generarono nell’estate 2000 rumori di natura impulsiva talmente intensi da essere chiaramente rilevabili a 90 chilometri di distanza.

È però forse l’industria dell’energia la maggiore responsabile di inquinamento acustico marino. Sotto lo stimolo del prezzo del petrolio in continua ascesa e di una crisi energetica che si profila all’orizzonte, la ricerca di giacimenti di idrocarburi e gas nel fondo del mare è sempre più intensa. Il metodo utilizzato per individuare questi giacimenti consiste nel pattugliare la zona da prospettare mediante dispositivi detti “airguns” che, trainati da apposite navi, emettono suoni esplosivi ad altissima intensità. L’eco di questi suoni riflessa dal fondo rivela presenza, profondità e tipologia del giacimento, di cui potrà poi essere programmata l’estrazione. Purtroppo un simile “trattamento” al mare ha il potenziale di sloggiarne gli abitanti, soprattutto se si tratta di animali come i cetacei, che si basano in gran parte sul suono per navigare e comunicare, e che quindi hanno un udito straordinariamente sensibile.

Alle marine militari e all’industria dell’energia nessuno chiede di chiudere bottega per il benessere dei cetacei. Purtroppo non viviamo in un’epoca in cui possiamo fare a meno di presidiare il mare, e d’inverno ci fa piacere poter riscaldare le nostre case. Tuttavia, anche tutelare la biodiversità marina è un obbligo da tutti riconosciuto, e per far questo ci vuole come minimo onesta collaborazione tra tutte le parti in causa. Tale onestà esiste, purtroppo, nelle dichiarazioni degli interessati più che nella realtà.

Il 26 gennaio 2006 quattro zifii finirono morenti sulla costa spagnola nei pressi di Almería. Necroscopie tempestivamente eseguite rivelarono senza ombra di dubbio la presenza di embolia tipicamente provocata da sonar militari. Per mesi tutte le principali marine militari operanti della regione, interpellate, negarono con enfasi qualsiasi responsabilità. Si dovette attendere l’uscita di un voluminoso rapporto della marina degli Stati Uniti nel luglio 2007 per apprendere, sepolta tra le righe, la notizia che proprio il 26 gennaio 2006 cinque unità navali appartenenti alla “Response 10 Force Maritime Group Two” della Nato, nel corso di una esercitazione contro un sommergibile spagnolo, utilizzarono sonar di media frequenza entro un raggio di 22 chilometri dalla località dello spiaggiamento. Svelato l’arcano.

Alla recente riunione delle Parti contraenti dell’Accordo “Accobams” per la tutela dei cetacei del Mediterraneo e Mar Nero (ottobre 2007), la delegazione francese si oppose con veemenza all’adozione di semplici linee guida per affrontare il problema, che erano state predisposte dal Comitato Scientifico dell’Accordo su precisa istruzione impartita dalle Parti stesse durante la riunione precedente. Vennero richiesti più studi, più riunioni, più comitati, più tempo, con l’effetto di rimandare qualsiasi vera azione a data da destinarsi. Tuttavia sappiamo bene che non sono più gli studi quelli che servono per affrontare la situazione.

Molto, anzi moltissimo si può fare per risolvere praticamente i problemi dei cetacei e della biodiversità marina più in generale, consentendo al tempo stesso uno svolgimento razionale e rispettoso delle attività umane in mare. Basterebbe, per esempio, limitare le esercitazioni militari al di fuori degli habitat critici di certe specie, oppure limitare le prospezioni a stagioni in cui le specie migratrici sono assenti. La scomoda verità è che i cosiddetti “poteri forti” sono talmente forti che non hanno un grande interesse, al di là delle belle parole, a cercare il compromesso.

Giuseppe Notarbartolo di Sciara

Articolo tratto da Rivista della Natura n. 4/2008

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