Fotografare un capodoglio
La prima volta che ho visto usare la foto-identificazione è stato durante un monitoraggio dei mammiferi carnivori nelle aree protette della Tanzania settentrionale, a cui partecipai per conto di un istituto di ricerca di Arusha. I ricercatori usavano questo metodo di ricerca, assai poco invasivo, per identificare i leoni maschi, poichè la colorazione del muso e le cicatrici possono rilevare l’identità e l’età dell’animale.
Un leone maschio se ne sta fermo e immobile anche per delle ore e con un obiettivo da 300 mm a una distanza di 20 metri, quasi gli vedi dentro i visceri quando sbadiglia. Hai tutto il tempo che vuoi. Autofocus, prendi la mira, e vai in continuo. Tre scatti al secondo: un gioco da ragazzi.
Con il capodoglio, un animale che vive a metà strada tra l’abisso e l’atmosfera, è tutta un’altra storia. Per identificare l’animale serve un’immagine del profilo della coda quando per immergersi la alza sull’acqua. Ma anche tutta la sequenza dei movimenti caudali può rilevare dettagli importanti: cicatrici, colorazione della pelle, chiazze bianche o nere. Serve anche una foto del lato destro e una del lato sinistro del corpo - quel capolavoro di biomeccanica e fisiologia che può spingersi a oltre duemila metri di profondità.
Sai che hai pochi secondi di tempo per scattare la tua foto. Il capodoglio appena riemerso se ne sta fermo per qualche minuto, come un’isola grigia e viva, e sbuffa e alita vapore trasversale. Poi compie una breve immersione, pochi metri sotto la superficie, per spostarsi poco più in là. Lo fanno quasi sempre e adesso che l’ho imparato ho un piccolo vantaggio.
Tu devi seguire la scena con l’occhio nel mirino. La Canon devi tenerla stretta, la mano sinistra a reggere il teleobiettivo. Emersione. Stop. Respiro. L’animale si inarca. Coda. L’animale si è immerso. Ora punta verso l’abisso, verso chissà quali canyon e secche segrete.
Questo è il tempo che avete per fotografarlo, e quindi foto-identificarlo. A me questa faccenda costa sempre molto in termini di concentrazione. Perché lo hai cercato per ore facendo la spola tra cortina idrofonica e postazione d’avvistamento, perché i volontari sono eccitati e tu sai che non puoi sbagliare. Tutto quello che hai fatto prima è in funzione di quel momento li.
Dopo l’immersione, non resta nient’altro che un cerchio liscio come l’olio di 5 o 6 metri di diametro. Un segno che viene cancellato dalla corrente. La prima cosa che faccio non è riguardare le foto sul dorso digitale della macchina fotografica. È cercare lo sguardo della gente. L’ultima volta sul viso di una ragazza sono apparse lacrime.
Mauro Colla
Agosto 2007
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