Quali esperienze si prestano a descrivere il tuo lavoro con i cetacei?
L’inebriante felicità quando sono in mare, anche adesso dopo tanti anni. Infatti vado ancora spessissimo su campo e cerco di starci più a lungo possibile. Il desiderio di ritrovare qualche spazio di solitudine nell'arco della giornata quando a bordo ci sono persone ‘difficili’, ma a bordo è praticamente impossibile. Mi piace particolarmente rimanere appollaiata in un punto tranquillo della barca, dove mi sento un tutt'uno con il mare e dimentico tutto il resto.
D’inverno mi piace molto fare la manutenzione del materiale da ricerca (idrofoni, macchina fotografica, TDR, etc.)
Sabina Airoldi
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Il rapporto tra i ricercatori. Si instaurano legami che di rado si possono trovare in altri ambienti lavorativi: amicizia, confidenza, complicità, scazzi vari, supporto reciproco, rispetto, cameratismo. Fare i lavori di casa con una buona musica di sottofondo. La manutenzione dell'attrezzatura: non sono lavori in cui vedi delfini o sei in mare, ma ti fa piacere vedere che il gommone è più pulito del solito (anche se nel giro di due giorni tornerà come prima). Non avere contatti con il mondo (niente tv e radio), che bello! Relax e chiacchierate in taverna nel tardo pomeriggio, dopo un’intensa giornata di lavoro. Sorseggi una birra ghiacciata e mangi del formaggio fritto ma come sottofondo c'è il mare, sei circondato da una luce calda, davanti a te solo acqua e sei in pace con te stesso e con il mondo. Fare la doccia alla fonte perchè manca l'acqua alla base; acqua fredda che ti fa fermare il cuore quando te la versi addosso, ma che meraviglia! Mangiare i fichi del nostro alberello sotto casa, che sono buonissimi. Dormire all’aperto e svegliarsi circondati dalle pecore.
D’inverno rivivere in parte ciò che si è vissuto su campo. Basta una foto o un aneddoto per farti rivivere quella situazione. Le chiacchiere con gli amici del tipo "Ti ricordi quando...". L’analisi dei dati presi su campo: scegliere le foto migliori, organizzare tutti gli archivi fotografici, sistemare i database.
Silvia Bonizzoni
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Riposo. Elena, Seba ed io: i volontari arrivano domani. Elena a Kalamos, io e Seba puliamo un po’ la casa, ci facciamo un caffè e una sigaretta, cerchiamo di mettere qualcosa a posto, squilla il telefono, una ragazza greca che parla un anglo-ellenico incomprensibile (almeno per me). Riesco a capire che si tratta della moglie del meccanico di Paleros, però è meglio che le passi Sebastiano. Lui mette giù e mi dice che c’è un delfino spiaggiato. Cominciamo a preparare gli strumenti e ci rileggiamo il protocollo, nel frattempo arriva Elena, richiama la moglie del meccanico e si fa dire esattamente dove si trova la carcassa. Dopo un’ora siamo lì e cominciamo a cercare l’animale, dopo un’altra oretta troviamo la carcassa, l’odore è insopportabile, lo leghiamo per la coda un cima e lo trasciniamo fino a Kalamos su una spiaggetta non frequentata. Cominciamo l’autopsia. Mascherine, bisturi, provette, e Elena che impartisce ordini. E’ stata un’esperienza indimenticabile, per giorni ho sentito su di me quella puzza tremenda… Credo che porterò con me per sempre il ricordo di quell’odore.
D’inverno la preparazione della stagione: dividersi gli acquisti da fare, andare a prendere il motore, caricare la macchina, pensare che mancano solo poche settimane e io non so ancora riconoscere gli eventi comportamentali, farò sicuramente una figuraccia…
Enrico Cabras
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Il caldo allucinante. La taverna di Episkopi. Camminare a piedi nudi. Chiacchierare con i volontari mentre si prepara la cena.
D’inverno la nebbia grigia fuori dalla finestra mentre riguardi le foto di delfini e situazioni scattate l’estate precedente. Discutere i programmi logistici per la prossima stagione. L’auto ridotta a un catorcio.
Elena Politi
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L’adattamento ai ritmi della natura, la costruzione del campo di ricerca in Canada, le levatacce all’alba per scrutare l’orizzonte e tirare giù dal letto i volontari. Lo stupore dei volontari la prima volta che sentono il soffio o vedono una balena. La gioia di trascorrere insieme a biologi e volontari serate estive chiacchierando, mangiando e bevendo sulla grande terrazza del campo. Sicuramente anche ore e ore a riparare cessi, acquedotti, motori, idrofoni, costruire tavoli e sedie.
D’inverno la gratitudine dei volontari che ci riempiono di affettuosissime e-mail. I rincontri che organizzano una volta tornati a casa e le nuove amicizie che nascono. La voglia di imbarcarsi al più presto.
Lucia Di Iorio
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L’arrivo a Episkopi per l'apertura della base. La vista dell'isola dopo il tornante sulla strada Paleros-Mytikas, quando dopo molti mesi rivedi il profilo inconfondibile dell’isola di Kalamos. Il primo trasferimento col gommone pieno zeppo per arrivare al porto di Episkopi. L’'isola e il porto che si fanno sempre più vicini. L'apertura della porta di casa e… trovare la casa devastata. Rimettere a posto la casa e preparare i gommoni e tutto il materiale da ricerca. Uscire di casa appena sveglio e guardare il mare dal patio. Veder tornare l'ApeCar e condividere con chi è uscito le esperienze fatte in mare. Caricare le taniche di benza sul gommone (la strada con le due taniche in mano dalla casupola al gommone), e tutte le fasi di imbarco dell'attrezzatura. La telefonata di Barba Niko che ti segnala i delfini: ci sentiamo parte di una comunità. Cercare di esprimersi in greco. Andare a far la spesa col gommone. Il porto di Episkopi al tramonto. Le discussioni e la programmazione delle varie attività di ricerca. Le lezioni ai volontari. L'ouzo alla sera, seduti sul patio. E poi la chiusura della base. L'ultimo viaggio da Episkopi a Mitika con il gommone sempre stracarico.
Stefano Agazzi
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